A Teatri di Vita uno spettacolo di pressante attualità. La recensione
Chi: Virginie Brunelle, autrice di Complexe des genres
Cosa: Recensione
Dove: Teatri di Vita
di Cristian Tracà
Mai come quest’anno Gender Bender incontra l’attualità e il dibattito contemporaneo sulle questioni di genere e sull’allargamento dei diritti fino al riconoscimento dell’evoluzione del concetto stesso di genere nella società italiana e nel villaggio globale.
A Teatri di Vita uno spettacolo di pressante attualità. La recensione
IN BREVE Chi: Virginie Brunelle, autrice di Complexe des genres Cosa: Recensione Dove: Teatri di Vita
di Cristian Tracà
Mai come quest’anno Gender Bender incontra l’attualità e il dibattito contemporaneo sulle questioni di genere e sull’allargamento dei diritti fino al riconoscimento dell’evoluzione del concetto stesso di genere nella società italiana e nel villaggio globale. In tempi di storiche aperture e di nuove trasversali alleanze progressiste Teatri di Vita scommette con più forza sul linguaggio della danza portando a compimento la sua naturale propensione allo spettacolo che più corporeo e fisico non si può.
Ad aprire il sipario di questa stagione 2014-2015 del teatro di Borgo Panigale è Complexe des genres, creazione della coreografa francese Virginie Brunelle. Sei ballerini in scena, con perfetto equilibrio di appartenenza di genere. Ed è proprio il genere il concetto chiave della performance e del disegno dei passi. Il maschile e il femminile in continua evoluzione e movimento: incontro-scontro, passione-tenerezza, amore-odio. Attraverso un gioco di immagini evocative esploriamo il diagramma delle emozioni, le schermaglie delle contrapposizioni, trovandoci sbalzati, in un momento, da un lato all’altro delle figure astratte dei sentimenti che si creano.
L’inizio è fortemente suggestivo, è il momento di incontro totale tra le essenze. Per nulla apollineo ed estremamente dionisiaco lo squarcio del sipario ideale, proprio per la sua prepotente eloquenza, rischia di condizionare in negativo il giudizio sul resto della rappresentazione, che in alcuni punti langue per la difficoltà di arginare la prepotenza dell’apertura.
Per fortuna la regia gioca bene le sue carte usando bene chiavi e registri, sfumando nell’ironia e allargando l’orizzonte del disegno scenico al di là della quarta parete con un meccanismo di coinvolgimento del pubblico tanto semplice, quanto interessante per la dinamica di partecipazione che crea. Dalle poltroncine gli spettatori, di una sala gremita come nelle serate di punta della programmazione dell’oasi pasoliniana nella periferia di Bologna, diventano nel loro piccolo demiurghi di traiettorie che s’incrociano nell’aria vibrante della performance per incontrare il destino di questi uomini e queste donne che mostrano come in un caleidoscopio tutta la gamma dei possibili rapporti tra le due metà delle mela.
Sull’idea di complessità e di genere del resto si dipanano nodi e reti concettuali sterminate, specie nella società attuale che ha esplorato a sue spese la labilità dei confini, la superficialità delle polarità e delle etichette, la materializzazione costante dell’idea di continuum. Uomini che odiano le donne, donne che odiano gli uomini, donne e uomini che si amano, si accompagnano, si fanno compagnia, si distruggono, confondono la propria specificità nella più grande categoria della vita e della specie.
Ottimo esordio di stagione, vista la caratura della coreografia e dei performer. Decisamente interessante la sinergia tra Teatri di Vita e Gender Bender per declinare una delle tante voci del panorama sulla nuova concettualizzazione del rapporto tra sesso, genere, società, natura.