IN BREVE Cosa: mostra “Sturmtruppen 50 anni” di Bonvi curata da Sofia Bonvicini e Claudio Varetto Dove: Palazzo Fava, Via Manzoni 2 Quando: 7 dicembre 2018 – 5 maggio 2019 Orari: da martedì a domenica: 10.00 – 20.00 Costo: open 14 €, intero 12 € e ridotto 10 € audioguide comprese nel biglietto Info: genusbononiae.it
Ideata da Sofia Bonvicini e curata dalla stessa insieme al carpigiano Claudio Varetto, si è inaugurata il 7 dicembre Sturmtruppen 50 anni, la mostra dedicata alla famosa strip creata da Franco Bonvicini, in arte Bonvi, esattamente nel 1968. Nei seicento metri quadri espositivi al primo piano di Palazzo Fava, in via Manzoni 2, fino al 5 maggio 2019 verranno ospitate oltre 250 opere provenienti dall’Archivio Bonvicini. Una vera e propria immersione, non cronologica ma tematica, che conduce il visitatore soprattutto nel cuore dell’universo sgangherato delle Sturmtruppen, con alcune mirate deviazioni.
Per chi non conoscesse il lavoro di Bonvi, attivo dagli anni settanta a metà anni novanta, ecco un breve ripasso.
Le Sturmtruppen sono una striscia quotidiana che l’autore modeno-bolognese ha creato e pubblicato per oltre 25 anni e che gli ha donato un successo mondiale. Al centro dell’opera, che conta seimila strisce, l’esercito tedesco. Epoca del racconto, una Seconda guerra mondiale che molto ricorda la guerra di trincea, di posizione, ovvero il Primo conflitto mondiale. Non solo. A ben vedere, l’esercito ritratto con uno stile “gommoso” e caricaturale tipico dell’autore, è sgangherato, privo di organizzazione. “Quelle che Bonvi disegna sono le divise dell’esercito tedesco sotto Hitler” dice Varetto. “Anche i mezzi blindati che compaiono nelle strip sono quelli del periodo. Però al massimo stiamo ammirando un possibile esercito italiano”. Un esercito che oltretutto parla un tedeschese azzeccatissimo per mettere in burla le situazioni e che propone militari presentati con i nomi delle loro funzioni, al netto di Galeazzo Musolesi, “l’unico personaggio a cui Bonvi dà nome e cognome, guarda caso proprio italiano, appioppandogli il peggio dei vizi nostrani”. Insomma Musolesi è forse la cartina al tornasole di quello che Sturmtruppen racconta in realtà. Lui è un italiano in mezzo a un esercito che si finge tedesco, ma non lo è. Detto altrimenti, Bonvi racconta l’odierna società più che il nostro alleaten dell’epoca.
“Sturmtruppen è un fumetto multilevel, stratificato per quanto riguarda il messaggio” afferma Bonvicini. “Per far emergere i diversi significati bisogna spacchettare la striscia. Noi abbiamo lavorato alla mostra in questa direzione. Abbiamo cioè messo sotto i riflettori alcuni aspetti di quell’unicum rappresentato dalla strip di Bonvi. Un’opera indubbiamente corale, col suo non avere un protagonista fisso”. Come detto sopra, dalla striscia di Bonvi si possono estrapolare solo alcuni personaggi ritornanti, non un attore centrale. Oltre al fiero alleaten Musolesi appaiono il Sergenten, il Capitanen, il Generalen, il Cuoken, il Doktoren e il (o forse i) soldaten semplice. Veri e propri archetipi, che ruotano in funzione della situazione comica e delle necessità che essa impone. Anche il nemichen non ha nome. Anzi, è praticamente invisibile: cannoneggia o parla da fuori campo, ma non si fa mai vedere. Si crea così un indistinto, che è la forza naturale della metafora e del simbolo. Sturmtruppen è perciò l’affresco di una “umanità senza tempo” con i suoi vizi, le sue idiosincrasie. Quindi sì, Bonvi propone un fumetto antimilitarista, l’unico ad aver avuto il coraggio di usare la guerra come tema centrale per denunciarne apertamente la profonda assurdità. Però la sua critica va oltre, muove verso la sua, la nostra contemporaneità, la nostra civiltà. E non crediamo sia premonizione quella dell’autore, quanto perspicacia verso una certa immutabilità degli atteggiamenti.
L’esposizione di questa serie bonviana sottolinea l’idea di un fumetto corale e simbolico, anche attraverso l’allestimento, che propone un percorso tematico e non cronologico. “Abbiamo creato varie sale” dice Varetto. “Ma due sono esplicative di quanto avviene in Sturmtruppen. Una è dedicata alla guerra di trincea, con la battaglia, la vita militare, la parola d’ordine. Nell’altra si è dato spazio ai temi più presenti nella strip: l’amore, la follia, la religione. Sono sicuramente temi universali, rivisti però attraverso l’ottica dell’autore”. In un’altra sala, quella in cui viene ospitato lo “studio” di Bonvi, fa bella mostra di sé una teca contenente gli strumenti del mestiere e due strip che spiegano molto del sottotesto antimilitarista di cui si nutriva Sturmtruppen.
“Volevamo far vedere lo spazio in cui lavorava Bonvi e le tecniche che usava” conferma Varetto. “Le due strisce sono invece dedicate a Comma 22, omaggio dichiarato dell’autore al libro di Joseph Heller uscito nel 1961”. Un omaggio quasi coevo. “Beh, le strisce sono del 1969, Bonvi quindi aveva letto il libro. Il suo riferimento non è il film, che esce nel 1979, ma proprio l’opera letteraria”.
“Abbiamo una marea di materiale, talmente tanto che potevamo tappezzare i Carracci” dice Bonvicini. Ma curare una mostra significa operare scelte, spesso chirurgiche. Seimila strisce in esposizione non erano proponibili. Nel caso di Sturmtruppen 50 anni, si è voluto inoltre dare spazio ad assaggi significativi della restante produzione artistica bonviana. Così in una delle sale di Palazzo Fava si sono collocati estratti di altre opere dell’autore. Dai seriali Cattivik e Nick Carter, alle puntate in campo autoriale de L’uomo di Tsushima, edito da CEPIM (poi Bonelli) nel 1978. “Bonvi ci teneva molto, lo considerava il suo capolavoro” dice Bonvicini. “Perché ha una valenza storica, ma anche perché aveva lavorato molto sui disegni, che sono ricchi di particolari, di chiaroscuri, con un specifico uso delle chine”. C’è anche una incursione nel fumetto vietato ai minori con PlayGulp, quattro tavole di Nick Carter che “sono veramente in pochi ad aver letto perché pubblicate una sola volta su Playboy, nel 1981” afferma Bonvicini. E ci sono le incursioni nella fantascienza, come si vede dal postapocalittico Cronache del dopobomba, che proviene dal periodo parigino dell’autore, o da Storie dello spazio profondo, creato su testi di Francesco Guccini. Se siete dei tuttologi, troverete anche alcune tavole dell’ultima opera che Bonvi completa e che esce nel 1995, stesso anno in cui l’autore sarà investito da un’auto. Sono le illustrazioni di Ali Babà e i quaranta ladroni, poi pubblicate da Franco Cosimo Panini.
Manca altro, d’accordo, però qui c’è veramente tantissimo con cui lustrarsi gli occhi. Per esempio, alcuni inediti. “Molte cose erano invisibili perché Bonvi le aveva nella sua casa studio in via Rizzoli. Erano materiali mai messi in mostra né pubblicati. Sono esposti qui per la prima volta” dice la figlia Sofia. Tornando nella sala studio ecco, per esempio, i Cavalieri. “Sono degli studi datati 1965 che probabilmente dovevano andare a Paul Campani, grandissimo creatore di Caroselli” dice Varetto, “questo nel periodo in cui Bonvi iniziava a muovere i primi passi nel mondo della pubblicità”. Campani era una potenza, ma non voleva attorno a sé collaboratori troppo bravi. “Probabilmente ha visto in Bonvi capacità che gli potevano nuocere e quindi scartò questi lavori, che risultano ben articolati se li consideriamo bozzetti”. Di passaggio, viene da chiedere se avesse avuto un ruolo nelle pubblicità dell’amarena Fabbri, quella dei corti di Salomone pirata pacioccone. “Lì è farina dello studio di De Maria, con cui collaborava” dice Varetto. “Ci ha messo le mani, ma non è sua l’idea. Da lì però prese spunto per dar vita a Capitan Posapiano, pubblicato su Cucciolo delle edizioni Alpe nel 1969”.
Altro inedito è L’anarchico, polittico datato 1979. Ognuno dei nove quadri potrebbe funzionare autonomamente, ma visti nell’insieme compongono una storia al cui centro sta questo anarchico rinchiuso in prigione, da cui evade sfondando le mura con la fantasia di un disegno. Soluzione che Bonvi riprenderà poi nella striscia 4472 di Sturmtruppen. “Un modo per raccontare il suo desiderio di andare sempre oltre” commenta Bonvicini. Con tutto se stesso, aggiungiamo.
Complemento di tanta esposizione, frutto di un lavoro durato due anni, il catalogo pubblicato da Mondadori e giustamente intitolato Il kataloghen. Contiene praticamente tutto quanto esposto nelle sale, con in più vari interventi e note critiche utilissime per orientarsi nel lavoro passato dell’autore e nel futuro del suo scalcagnato esercito.
Si diceva del lavoro dei curatori. Ma non bisogna tralasciare l’affetto dei familiari verso un uomo che era letteralmente immerso nella continua creazione di un suo mondo. Sarà stato complicato essere figli di un simile artista. “Bonvi era un cerbero. Aveva due teste: quella da artista e quella da padre” risponde subito Sofia Bonvicini. “Ovvio che ogni tanto cozzassero fra di loro. Però quello che mi è venuto veramente a mancare di Bonvi, è stato proprio il suo mondo. Non tanto la persona fisica o la voce o l’odore. È stato il mondo nel quale lui viveva e che inglobava chiunque gravitasse intorno a lui”.