IN BREVE Cosa: Tre film dal Biografilm, come vederli e recensione
Dove e Quando: dettagli nel pezzo Info: biografilm.it
«Sei una pop-star problematica. Perché non puoi startene zitta?”»
«Volevo essere una documentarista».
Lei, quella che dovrebbe tacere e che invece avrebbe voluto diventare documentarista, è Matangi/Maya/M.I.A.
Bastano due battute, e già sembra di entrare in un terreno protetto, dove il soggetto principale del documentario ubbidisce alle logiche rappresentazionali che conosce e riconosce come un altro medium espressivo che potrebbe, o ha potuto, utilizzare anche lei.
Sebbene alle proiezioni nei festival, diversi giornali hanno riportato di aver visto la rapper un po’ delusa e infastidita dal montaggio e dalle scelte autoriali di Steve Loveridge, suo amico sin dai tempi della high school a Central Saint Martins in 1998, è innegabile che il suo percorso artistico e militante abbia avuto effetti visibili nel risultato finale.
La sensazione che si ha è che M.I.A si dia completamente all’immagine di se stessa: ha confidenza con le riprese sin da adolescente e l’idea del film nasce proprio da lei, quando nel 2011 consegna a Steve 700 ore di suo girato ‘casalingo’, facendogli promettere che prima o dopo avrebbe dovuto realizzare un documentario su di lei e sulla sua vita.
Il documentario ne esce come un prodotto dai molteplici livelli narrativi: ci sono i making of dei video, i concerti, i dietro le quinte, i Macbook-video (germi di quello che diventerà un singolo da milioni di copie, Paper Planes), mashup di vari live, riprese di lei, scene riprese da lei per altri, video-confessioni, home movies ingenui, footage d’archivio, foto d’epoca.
La sua non è solo l’immagine che si vede, ma M.I.A. riesce incredibilmente a mettere lo zampino anche sulla forma di questo risultato finale: d’altronde, conferma all’inizio del film che voleva essere una documentarista.
C’è una scena esemplare in cui il succo stesso del documentario irrompe con forza: nel 2001, Matangi fa i bagagli per tornare a Colombo, Sri Lanka, per girare un documentario sulle tigri Tamil e sulla sua famiglia rimasta là.
Nella scena, Maya è di spalle che cammina, ripresa dall’amica Justine che ad un certo punto le urla: “Maya! Hai dimenticato la telecamera!”. M.I.A. si gira, ride e le corre incontro, e mentre la telecamera passa di mano dall’una all’altra, la ripresa gira di 360 gradi, sovvertendo i ruoli di oggetto e soggetto della ripresa: il documentario risulta essere il precipitato caleidoscopico di questo incontro in ogni sua parte.
Chi si aspetta di vedere novanta minuti sulla carriera musicale e le performance live della rapper tamil, rimarrà forse deluso dal peso dato alla narrativa in questo documentario: ma così come M.I.A è molto di più di una pop-star problematica, così anche il documentario si prende la briga di allargare il confine del racconto complesso che sta alla base di questa donna straordinaria.
Nel video di Boarders, il cui making of apre e chiude il documentario, gli attori indossano lo stesso telino isotermico dorato, oramai emblematico, che viene messo addosso ai migranti quando vengono recuperati dai barconi.
In IUVENTA questa stessa immagine si capovolge in evento reale, reale in modo doloroso.
Il documentario, molto equilibrato e mai pietistico, di Michele Cinque, ritrae più di anno di vita a stretto contatto con i ragazzi tedeschi dell’ong Jugend Rettet che hanno dato vita al più visionario progetto europeo degli ultimi anni: rendere operativa una nave (la IUVENTA, appunto), partire alla volta delle coste libiche e portare in salvo i migranti affollati in barconi inumani.
Il documentario è di tipo osservativo, non c’è commento, non c’è forzatura nel far dire ai personaggi quello che la trama imporrebbe loro e ciò determina un prodotto pulito, scevro di ideologie o pensieri superficiali: le riprese dei vari mesi in mare non cercano (quasi) mai l’emozione facile e non si lasciano andare al racconto accorato.
Cosa ha spinto un gruppo di giovani tedeschi a mettere a rischio le loro proprie vite per salvare quelle di migliaia di migranti nel Mediterraneo? Quali speranze, quali sogni, quali timori?
Il vero focus non è, infatti, un giudizio sull’immigrazione (sebbene gli interventi della IUVENTA abbiano salvato 14mila persone) o sulla legittimità dei diritti umani, come ha voluto chiarire anche il regista romano intervenuto al Biografilm alla proiezione di mercoledì 19 giugno.
Questa è piuttosto la storia dei ragazzi e delle ragazze che si mettono insieme per progettare qualcosa di immenso, qualcosa di così grande che la paura di essere schiacciati non li abbandona mai, neanche mentre si stanno rendendo utili, neanche mentre stanno dimostrando al mondo le infinite possibilità della volontà.
Vediamo la storia snodarsi dalla prima missione nel Mediterraneo al sequestro della nave, avvenuto il 2 agosto del 2017 nel porto di Lampedusa, per le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Vediamo, e ‘vediamo’ significa proprio che non esiste finale rassicurante a tutta questa vicenda: laddove la telecamera potrebbe spegnersi dopo aver raccontato la bella esperienza umanitaria di un gruppo di giovani avventurosi, al contrario la forza degli eventi spinge e rimette tutto in discussione.
Come sottolinea in un’intervista il regista: “La giovanissima età dei protagonisti, lo slancio utopico che li aveva spinti a lanciarsi in questa impresa, il desiderio di cambiare il mondo e una grande forza di volontà che, come era prevedibile, li avrebbe portati a un certo punto a scontrarsi con la durezza della realtà”.
La lotta per la propria autodeterminazione, per scegliere il proprio destino e non subirlo, è anche il motore propulsivo alla base di Another day of life, lungometraggio di animazione (arricchito da inserti documentaristici e materiale di archivio).
I due registi Raúl de la Fuente e Damian Nenow hanno dato vita ad un prodotto cinematografico che rompe le barriere imposte alla animazione computer-generated, e soprattutto sono stati tanto arditi da confrontarsi con il mostro sacro rappresentato dalla figura di Ryszard Kapuściński.
Il reporter polacco scriverà infatti Another day of life (Ancora un giorno, nella traduzione italiana) dopo essere stato nel 1975, in piena Guerra Fredda, per documentare la guerra civile in Angola o, perlomeno, quello che inizialmente sembrava tale, ma che poi attirerà le attenzioni di URSS e USA.
Chi conosce il giornalismo narrativo di Kapuściński, comprenderà anche che gli eventi che gravitano intorno alla vita del reporter sono il punto di partenza e di arrivo, ma ciò che colpisce è che il documentario d’animazione riesca a far emergere quei dubbi deontologici, quelle incertezze umane che cambieranno per sempre il rapporto di Kapuściński con il suo lavoro di reporter.
Mentre, infatti, ostinatamente chiede di poter partecipare alle missioni a sud dell’Angola, laddove c’è il fronte estremo capitanato da Farrusco che ha a disposizione una manciata di uomini, Kapuściński deve affrontare i dissidi legati alla sua presenza là: interagire con la realtà che si vuole documentare, cambiare le carte in tavola solo con la propria presenza, scompaginare gli eventi perché si hanno determinate chiavi di accesso alle informazioni… Tutto ciò si presta ad essere il background su cui la storia, satura di scene movimentate e personaggi dalla fisionomia minuziosa, si erge come narrazione indimenticabile.
Scene di violenza e di azione lasciano spesso il passo a paesaggi onirico-speculativi in cui Kapuściński vede la realtà intorno sfrangiarsi o esplodere in bolle di sapone, sia che si tratti della macchina su cui sta viaggiando sia che venga rappresentata ossessivamente la morte della combattente Carlota, figura leggendaria per la tenacia dimostrata e anche grazie alle varie foto scattatele da Kapuściński stesso.
Il racconto di guerra del grande reporter polacco ne esce fuori deciso ma senza mai sfiorare stilemi banali e senza abusare del genere cui appartiene, al contrario: i due registi portano l’animazione verso territori inesplorati e, di certo, nella direzione dell’impegno non solo estetico.
Repliche
> MATANGI/MAYA/M.I.A.: giovedì 21, ore 18:00, al Cinema Europa, sabato 23, ore 21:30, al Cinema Antoniano e domenica 24, ore 21:30 al Cinema Orione
> Another Day of Life: giovedì 21, ore 20:30 al Cinema Europa | venerdì 22, ore 19:00 al Cinema Antoniano