Recensione in anteprima del disturbante esordio dell’autore di Shame
Titolo: Hunger
Anno: 2008
Regista: Steve McQueen
Attori: Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan
Quando: da venerdì 27 aprile 2012
Dove: al cinema
Sulla scia del successo e il dibattito generato da Shame, arriva nelle sale italiane Hunger, l’opera prima di Steve McQuenn. Protagonista, anche qui, Michael Fassbender, attore fra i più quotati e richiesti, a proprio agio ed efficace tanto in blockbuster come XMen: l’inizio e il prossimo, attesissimo ...
Recensione in anteprima del disturbante esordio dell’autore di Shame
IN BREVE Titolo: Hunger Anno: 2008 Regista: Steve McQueen Attori: Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan Quando: da venerdì 27 aprile 2012 Dove: al cinema
di Giuseppe Marino
Sulla scia del successo e il dibattito generato da Shame, arriva nelle sale italiane Hunger, l’opera prima di Steve McQuenn. Protagonista, anche qui, Michael Fassbender, attore fra i più quotati e richiesti, a proprio agio ed efficace tanto in blockbuster come XMen: l’inizio e il prossimo, attesissimo Prometheus, quanto in opere più autorali e controverse come i due film di McQueen e l’ultimo Cronenberg, A Dangerous Method.
Videoartista di formazione, Steve McQueen conserva nel suo debutto cinematografico la preminenza e indipendenza estetica dell’immagine e della costruzione del quadro. Questo nonostante Hunger sia un film fortemente tematico e storico, narrativo per definizione e finalità. Rappresenta la protesta delle coperte e dello sporco, attuata dai prigionieri dell’IRA dal 1976 al 1980, e la morte di Bobby Sands per lo sciopero della fame del 1981.
Quella di Hunger è una messa in scena rigorosa e potente, costruita per immagini fredde e geometriche, solo raramente disturbate dalle parole. I prigionieri, martiri coi capelli lunghi e la barba incolta, rifiutano d’indossare gli abiti penitenziari: figure cristologiche dai corpi pallidi e perfetti, vestite solo di una coperta, denudate e percosse dalla furia di esasperati carcerieri inglesi, ricordano più direttamente i corpi di Bill Viola che i dipinti rinascimentali.
Nella prima parte McQueen conduce una narrazione acentrata, ci rinchiude presto negli H-Blocks e in questo isolamento trova il mezzo per concentrare il film sulla gabbia, gli oggetti, gli spazi geometrici abitati da differenti protagonisti. Le pareti incrostare dagli escrementi, le pratiche di protesta e minima sopravvivenza sono rappresentate al tempo stesso con crudo realismo e un’artificiale ricerca del dettaglio e della composizione, che rendono Hunger un’opera incisiva nel messaggio e indipendente dallo stesso.
La seconda parte mette a fuoco la figura di Sands, un Michael Fassbender impegnato in un’altrettanto impressionante esecuzione da performer di body art, trasfigurato dalla perdita di peso. Prima del sacrificio finale il film è tagliato da una magistrale scena di cinema teatro, un pianosequenza a inquadratura fissa di diciassette minuti, cui ne vanno aggiunti sei di primo piano di Fassbender, in cui Sands discute con un sacerdote i motivi della sua scelta, l’inevitabilità e il significato del suo gesto.
Hunger è dunque un’opera dal forte impatto, radicale in molte delle sue scelte, ma fortemente significativa e lontana da altre raffigurazioni sterilmente provocatorie o facilmente autocompiaciute.