IN BREVE Chi: Davide Morosinotto e Teo Benedetti, autori Cosa: Cyberbulli al tappeto. Piccolo manuale per l’uso dei social. Manuale illustrato edito da Editoriale Scienza Illustrazioni: Jean Claudio Vinci
Mentre il DDL 1261-B riguardante prevenzione e contrasto contro i fenomeni di bullismo e cyberbullismo giace ancora in un Senato preso a ragionare su se stesso, in libreria è presente già da qualche mese un manuale a uso e consumo dei ragazzi dai 10 anni in su, ma anche di genitori e educatori, che riguarda proprio questo fenomeno dilagante.
Ad aver creato Cyberbulli al tappeto. Piccolo manuale per l’uso dei social, sono il fiorentino Teo Benedetti e il bolognese Davide Morosinotto, due autori attivi da anni nel campo della narrativa e della divulgazione per ragazzi. Come detto è un manuale sul mondo 2.0, quello virtuale, quello dei social, illustrato da Jean Claudio Vinci, ricco di informazioni sia sul funzionamento di questi canali di comunicazione e sul come ci si possa difendere da chi li usa a fine “offensivo”.
«L’idea di questo libro ci è venuta leggendo le notizie sul cyberbullismo che compaiono sui media» ci dice Morosinotto. «Quello che ci siamo chiesti è se esistessero libri che spiegassero ai ragazzi come affrontare questo tema e i problemi connessi. Quanto abbiamo trovato sono libri e opuscoli rivolti essenzialmente a educatori e genitori, ma niente che parlasse ai ragazzi nella loro stessa lingua».
Quindi un terreno ancora non battuto.
«Esattamente. Tieni conto poi che siamo entrambi scrittori di libri per ragazzi, conosciamo il loro linguaggio. Allora ci siamo detti perché non provare a far da ponte creando un libro semplice da utilizzare e capace di insegnare a chi è nella fascia di età più a rischio qualche regola base. Un po’ come fossero le regole dell’educazione stradale. Quindi ecco i segnali principali, ecco come sono fatte le strisce per attraversare il mondo di internet, anche divertendosi».
Cioè?
«Abbiamo cercato di enfatizzare non solo i pericoli presenti nella rete, ma anche le sue infinte potenzialità, il motivo per cui è bello esserci in questo mondo 2.0 e inventare nuovi modi di usarlo».
Comunque Cyberbulli al tappeto ribadisce più volte come esista una realtà concreta, quella del quotidiano e dell’incontro, prima di quella proposta dal web. Lo avete voluto sottolineare perché, a vostro parere, i ragazzi tendono ad allontanarsi dalla vita reale attraverso l’elettronica di consumo?
Parlando coi ragazzi durante i laboratori che facciamo, ci siamo resi conto sempre di più che per loro il mondo è uno. Non esistono due realtà. Il mondo che frequentano comprende anche la tecnologia. E quindi il telefonino non li porta in un mondo diverso, in un’altra realtà, ma fa parte del mondo unico in cui agiscono. A me sembra una visione giusta e bellissima. Ovvio che, se siamo abituati ad avere sempre un telefonino in uso, rischiamo di non fare altre cose interessanti. Cose che un ragazzo, inesperto del mondo per definizione, deve cercare di conoscere. Quello che diciamo proprio ai ragazzi attraverso le pagine del nostro libro è di ricordare come, sì, stiamo sempre lavorando su quel tassello di realtà legato alla tecnologia, ma che esso non è l’unico. Ce ne sono tantissimi altri e tutti interessanti. Diciamo loro: usate la rete per far delle cose, non perché è la rete.
La figura del cyberbullo viene preceduta da un paio di capitoli introduttivi. Perché questa tattica, questo farlo entrare, diciamo, in ritardo?
Ai ragazzi diciamo più volte che, leggendo il nostro libro, stanno per affrontare un piccolo corso di arti marziali. Come si imparano le arti marziali? Di sicuro, prima di affrontare l’avversario, si deve sapere qual è il ring, quali sono le regole di base. Poi ci si allena. Solo dopo questo percorso possiamo pensare di andare a conoscere l’avversario, salire sul ring e fare l’incontro. Così abbiamo creato una progressione nelle informazioni, siamo partiti dallo spiegare cos’è la rete, poi cosa è la privacy, poi quali sono i principi che devono regolare il nostro comportamento su internet. Solo quando abbiamo espresso tutto questo, cominciamo a definire il cyberbullo e come contrastarlo, come imparare a difenderci da lui, o almeno provarci.
Ci sono differenze nel modo in cui i cyberbulli colpiscono a seconda dei social usati? Quali difficoltà si hanno nel bloccare un bullo che ne usa uno piuttosto che un altro?
Tutte le persone parlano in modo diverso e dicono cose in modo diverso, a seconda di chi si trovano davanti. Questo si riflette tantissimo nei social. Ci siamo accorti, nel lavoro preparatorio al libro, che gran parte delle gaffe, dei grandi problemi, che saltano fuori fra adulti sui social, derivano spessissimo dall’aver confuso le persone con cui si sta parlando. Ecco perché è il primo messaggio che facciamo passare nel libro. L’altro messaggio – ed è il motivo per cui apriamo il manuale facendo vedere come è fatta la rete a livello di struttura – recita: per prudenza, tenete sempre conto di come quello che a voi sembra “molto” privato è probabilmente “abbastanza” pubblico. Quindi ogni volta che usiamo una nuova tecnologia facciamolo essendo però consapevoli che altre persone potrebbero leggere quanto stiamo scrivendo e interpretarlo in altro modo. La tecnologia non sempre ci permette di interpretare il tono.
E per quanto riguarda strettamente il cyberbullismo?
La grossa differenza se parliamo di social pubblici, cioè rivolti a una grande platea di persone, è che il bullo potrebbe essere una persona assolutamente sconosciuta e lontana, tanto da vivere per assurdo su un altro continente. Invece nei social privati (pensiamo, per esempio, a un gruppo di WhatsApp) il cyberbullo è una persona che conosciamo benissimo, magari lo incontriamo quotidianamente nel mondo reale, quello 1.0. Quindi le tecniche di difesa cambiano.
Sottolineate come il cyberbullo non si molto diverso dal bullo in cui ci si può imbattere a scuola. Cambiano invece drasticamente le dinamiche di relazione con questa figura. Che diventa virtuale.
Il cyberbullo ha una caratteristica che lo rende particolarmente problematico per chi lo affronta: usa la tecnologia invece del cortile della scuola, quindi può colpire in ogni momento. Il bullo tradizionale invece staziona in alcuni luoghi, spesso sempre quelli, e in prima battuta possiamo evitarli per non incrociarlo. Se colpisci sul telefonino colpisci quasi sempre.
Nei due mondi (il virtuale e il reale) troviamo però identiche le figure di quelli che spalleggiano il bullo, che lo aiutano non prendendo posizione o non aiutando chi è vessato.
Esatto. Aggiungo che il bullo è bullo se ha dei fiancheggiatori attorno. Nel mondo 1.0 il loro numero è limitato, mentre in rete quelli che stanno in silenzio – per quanto mi riguarda, questo costituisce un altro grado di responsabilità di cui tener conto – sono una platea potenzialmente vastissima. Nel mondo 2.0 la vittima si sente ancora più soverchiata da questa platea enorme.
Ma la difficoltà che un ragazzo incontra nel difendersi dal cyberbullismo dipende dal non riuscire a comprendere fino in fondo le caratteristiche e le potenzialità di ogni social?
Io penso che nessuno al mondo abbia capito davvero tutte le potenzialità dei social e del come al loro interno cambino i rapporti fra le persone. Varie università in giro per il mondo stanno facendo ricerche in questa direzione. Potremo avere qualche informazione in più solo quando verranno pubblicati i risultati finali. Forse. In Cyberbulli al tappeto, abbiamo cercato di mantenerci a un livello più semplice, quello delle regole da rispettare in strada, come dicevo all’inizio. Ai ragazzi cerchiamo di far conoscere due tipi di difese possibili. La prima l’abbiamo chiamata “difesa attiva”. È un meccanismo semplice, che recita: se una persona continua a tempestarvi di chiamate al cellulare e voi non avete voglia di risponderle, potete bloccare il suo contatto. Questa è una fra le opzioni possibili. È semplice e a volte può risolvere grandi problemi, ma i ragazzi spesso non sanno che esiste.
La seconda è la “difesa passiva”, cioè evitare il combattimento. Evitare, per esempio, di scrivere su internet cose di cui ci potremmo pentire: mai scrivere cose private in un luogo pubblico. In definitiva, bisogna adottare quei comportamenti di prudenza di base, che ci rendono vittime meno visibili o comunque scoraggiano l’attaccante dal colpirci.
Altro suggerimento su cui insistete è quello di non dimenticare mai che il mondo reale è un mondo a cui ci si può sempre rivolgere per avere informazioni, pareri. I ragazzi sono così sprovveduti?
Gli adulti sono convinti che, siccome i ragazzi sono nati con il telefonino in tasca, lo sappiano usare. Cioè che i “nativi digitali” siano anche “competenti digitali”. Cosa tutt’altro che vera. Nel senso che si diventa competenti se lo si apprende. Gli adulti pensano che i ragazzi siano più competenti di loro, più bravi di loro nell’uso delle nuove tecnologie. Un pensiero che si traduce in un tirarsi indietro, in una deresponsabilizzazione. In questo modo i ragazzi non li vedono più come le persone giuste con cui parlare quando hanno dei problemi. Io e Teo cerchiamo di dire ai ragazzi attraverso il nostro manuale che non è così. Se vostra nonna non sa cosa è WhatsApp, sa benissimo invece cosa è un prepotente, sa come ci si difende da lui, sa qual è la cosa giusta da fare. E, forse, la persona più efficace cui rivolgervi se avete un problema con WhatsApp è proprio vostra nonna, che non ha mai visto un telefonino in vita sua. Non è una assurdità. È soltanto guardare le cose da un’altra prospettiva.
Il vostro manuale si deve confrontare non solo con i lettori, ma con la rete, una entità mutevolissima. Avete considerato la possibilità dell’“invecchiamento precoce” delle informazioni date? Oppure i cyberbulli e le loro modalità di attacco restano sempre le stesse, evoluzione del web o meno.
Abbiamo riflettuto tantissimo su questo punto. Quello che nel libro non diamo mai sono i contenuti didascalici, cioè suggerire di aprire il menu, di andare in impostazioni e di fare click su un determinato comando perché questi termini cambieranno nel giro di un niente. Cerchiamo di dare invece gli strumenti per capire dove andare a cercare queste impostazioni, spiegare che cambiano nome ma fanno sempre la stessa cosa. Fanno la stessa cosa da quando c’erano i forum, e stiamo parlando di una cosa vecchia di vent’anni. Hanno cambiato mille nomi, ma hanno mantenuto sempre le stesse funzioni. Noi abbiamo cercato di lavorare a livello delle logiche di base, dando ai ragazzi degli strumenti per trovarli in autonomia. Lo diciamo in un paio di punti. Poi, all’atto pratico, il consiglio è di andare su Youtube, che offre una informazione aggiornata. Noi diciamo qual è l’effetto e qual è il senso di fare questa operazione.
Sicuri che il libro non demonizzi la rete?
Sicurissimi. Il libro inizia e finisce dicendo che la rete è bella e noi per primi pensiamo lo sia. Sia io che Teo lavoriamo con la rete tutti i giorni, è una cosa che ci appassiona e crediamo abbia grandissime potenzialità. Ma come quando si va per strada è bello vedere il mondo attorno, bisogna anche fermarsi quando il semaforo scatta sul rosso. Attraversiamo solo quando è verde.