IN BREVE Chi: Alessandro Tota e Pierre Van Hove, Giacomo Nanni, Marco Galli Cosa: tre incontri all’interno di BilBOlbul
- Festival internazionale di fumetto Quando: 21-22 novembre 2015 Dove: Bologna, luoghi vari Info: bilbolbul.net
Prima di tutto, la storia. Sperimentazione, ibridizzazione, rinnovamento sono le parole che innervano la programmazione di BilBOlBul, Festival internazionale del fumetto di stanza a Bologna, giunto alla sua nona edizione. Eppure una piccola ma interessante schiera di autori e di volumi presentati in questi giorni all’interno del Festival, tendono a recuperare in modo forte quello che è il senso della storia nel loro personale modo di fare fumetto.
Quelli che proponiamo sono alcuni degli esempi di come gli autori riprendano possesso della narrazione.
È proprio la precisione millimetrica nell’evoluzione della storia, l’inappuntabilità dei dialoghi, il lavoro attorno ai personaggi quello che rende Il ladro di libri (Coconino press, pp. 180, € 17,50) il volume più vicino all’idea di romanzo presente in questa edizione 2015 di BilBOlBul. Colpisce anche come il racconto porti la firma di due autori: Alessandro Tota, per i testi, e Pierre Van Hove, per le chine. Chi frequenti il mondo del graphic novel, sa quanto un’opera a quattro mani sia cosa più unica che rara. Eppure la collaborazione fra Tota e Van Hove, il loro scambiarsi continuamente pareri durante la creazione dell’opera, ha prodotto un unicum narrativo al cui interno ambientazione realistica e personaggi di fantasia agiscono con sintonia d’intenti.
La Parigi del 1953 e le azioni contrastive del giovane studente in legge, ma aspirate poeta, Daniel Brodin diventano perciò non solo credibili, ma potente metafora morale di un mondo (quello artistico) che vive perennemente fra disfatta e desiderio di rivalsa. Su un terreno di puro realismo il libro racconta anche qualcosa che si avvicina alla limpida constatazione, ovvero la bellissima strafottenza che permea sempre le giovani generazioni, con il loro desiderare tutto e il contrario di tutto, essere perennemente sulle giostre fra sensi di colpa e ipertrofie dell’ego. Brodin, aspirante poeta e compulsivo ladro di libri, riesce a interessare l’intellighenzia esistenzialista attraverso il plagio: spaccia per sua una poesia di altri. Il gioco è fatto, potrebbe diventare presto la best next thing culturale. Contestualmente fa la conoscenza di un gruppo di sedicenti avanguardisti, che campano di furtarelli: li si potrebbe definire come dei presituazionisti.
La tensione fra una vita borghese all’ombra della menzogna, ma artisticamente appagata, e il cinismo nello sfruttare questa situazione pur di non fare i conti con se stessi, scatena una serie di conseguenze che lasciano il nostro eroe a mani vuote eppure assurdamente felice.
Tota e Van Hove costruiscono su Brodin e sui suoi “colleghi in affari” un romanzo di trasformazione, dove l’ironia è un piatto servito freddo che sempre si palesa a braccetto del grottesco. Sostenuto da un finale relativamente aperto, Il ladro di libri è uno di quei rari esempi di narrativa contemporanea che, pur guardando a una costruzione classica, potremmo definire “capolavoro moderno” per sintesi e acume. Mettendoci la mano sul fuoco.
(sabato 21, ore 17.30, libreria Modo infoshop: Alessando Tota parla de Il ladro di libri con Marco Galli e Alberto Sebastiani
domenica 22, ore 16, Feltrinelli Ravegnana, in occasione del Festival della narrativa francese, Alessandro Tota e Pierre van Hove presentano Il ladro di libri con Domenico Rosa)
Chi ha conosciuto Giacomo Nanni attraverso le Cronachette, racconti minimalisti in cui l’autore riminese faceva “recitare” la sua piccola micia nera Esterina, ritroverà una, diciamo, implementazione del suo modo di narrare nelle pagine di Prima di Adamo (Canicola edizioni, pp. 56 a colori, € 15). Non tanto per l’uso del colore rispetto a quell’iniziale lavoro sul bianco e nero, né per il passaggio dall’inesistenza degli sfondi a una loro presenza sempre più corposa, sostenuta da saturazioni del colore o dall’ossessiva ripetizione del tratto per creare fitte intramature in alcune zone delle vignette, quanto per la capacità di sintetizzare per ellissi una narrazione tutt’altro che facile. Alla base di questo lavoro Nanni pone infatti un corposo racconto di Jack London dallo stesso titolo, che a sua volta ha come suo centro il concetto di “plasma germinativo”. Postulato dal biologo tedesco August Weismann, il plasma germinativo fa parte della teoria del tramando di ricordi atavici – i primi ricordi dell’umanità – tramite il nostro corredo genetico.
Nanni riprende la storia di London e assume al centro di essa la figura di un ragazzo che, attraverso i propri sogni, vive più che rivivere in maniera diretta quanto vissuto da un primate appartenente al Popolo degli alberi, identificato come suo antenato. Il ragazzo non si lascia attrarre da quei sogni regressivi, solamente li vive. Così facendo ne percepisce la dualità insita nel sistema della natura primordiale, che è sì indice di una libertà priva di vincoli, ma anche di orrore e crudeltà.
Nanni riesce a mantenere l’equilibrio voluto da London fra questi due estremi, accentuando però il segno di una non divisione fra mondo del sogno e mondo della realtà fino a toccare l’idea del sogno nel sogno, della regressione attraverso uno stato di altra coscienza, cui somma nella pagina l’idea della non linearità dello scorrere tempo. D’altro canto evita di sottolineare il versante politico del testo londoniano, quel prefigurare la lotta fra le classi, in favore di un pensiero più prettamente evoluzionistico che giunge a toccare nelle ultime pagine le origini dell’umanità. Nelle tavole di Prima di Adamo il racconto del narratore americano va oltre le soglie della pura trasposizione, grazie anche all’uso insistito dell’ellissi, del seminare vuoti carichi di senso fra le parti che compongono la storia nel suo complesso. Un modo fortemente evocativo di restituire un grande affresco narrativo, cui non è assolutamente secondo l’uso particolare del colore lavorato totalmente al computer.
(sabato 21, ore 16.30, Accademia di Belle arti: Giacomo Nanni parla di Prima di Adamo con Enrico Fornaroli e Gino Scatasta)
Marco Galli con Nella camera del cuore si nasconde un elefante (Coconino press, pp. 160, € 18) recupera dai suoi precedenti lavori l’idea del viaggio come sperdimento. Lo fa portando il personaggio principale della storia, Almo Brasil, in una dimensione onirica e allucinata, piegando però l’intera narrazione verso il sapore della commedia, verso una inusitata leggerezza metafisica. Insieme al viaggio, nelle pagine del libro ricompaiono ossessioni tipiche presenti negli altri lavori di questo autore lombardo: l’artista in crisi di ispirazione, l’altrove come stato (e stadio) “altero” della coscienza, il mistero dentro un quotidiano non lineare, il sesso come accensione della situazione narrativa e come sblocco di una impotenza.
Il personaggio di Brasil è infatti quello di uno scrittore in crisi creativa, che in un tempo senza tempo, in una dimensione altra dalla nostra, va alla ricerca di Suxi Loca sul pianeta Balhore. Suxi è una donna (donna?) conturbante e misteriosa, che appare solo sui social e si dice viva nella zona dell’antica Medina, ultima porta in fondo a non si sa quale universo. Appena arrivato a Balhore Brasil si perde in altri incontri e altre situazioni. Al posto della donna misteriosa incontra prima il suo scrittore feticcio Milo Ganz, scomparso da anni, poi Zelda, cioè l’amore e il ritorno della creatività. A tutto questo però rinuncia, pur di non essere catturato da Balhore. Perché alla fine il pianeta gli si mostra come “un gigantesco stato coscienziale che ti costringe a guardarti dentro fino nel profondo”, cioè un luogo oscuro e labirintico dove lui non ha il coraggio di addentrarsi (“Perché cercare chi si vuole nascondere?”). Se anche viene alla mente, quasi ribaltato nel segno, il pianeta Solaris dell’omonimo romanzo di Stanislaw Lem (sì, ok, ci sono citazioni moebiusiane e omaggi a Burroughs molto più calzanti), al centro di questo ultimo graphic novel di Galli sta saldamente la dimensione oniricometafisica del viaggio da intraprendere per le strade di un non luogo mentale alla cerca di un confronto come di una verità. Dietro questo fanno la loro comparsa in posizione simbolica il bisogno di liberare la camera del cuore da quanto la ingombra (la paura?) e di cercare senza forse un risultato apprezzabile l’unica chiave capace di aprirla (la creatività?).
Galli crea per Nella camera del cuore si nasconde un elefante situazioni al limite del rarefatto, su cui fa agire l’inappuntabile combriccola di personaggi (da Brasil ai comprimari) che ha deciso di proporre al lettore. Tutti loro vengono dati come potenziali punti di accesso all’interpretazione del testo, perciò tutti sono ambiguamente dotati di una personale verità interiore oltre che di una efficace caratterizzazione. Insieme concorrono a creare l’atmosfera di sperdimento più che di mistero, il liquido amniotico dentro cui galleggia la storia nella sua interezza.
(sabato 21, ore 17.30, libreria Modo infoshop: Marco Galli parla de Nella stanza del cuore si nasconde un elefante con Alessandro Tota e Alberto Sebastiani)
20 novembre 2015