Il 27 novembre è trascorso un mese dalla morte di Lou Reed (diversamente dai mass media, sono ancora dell’idea che le persone muoiano, solo i maghi “scompaiono”). È stato ricordato, ed è ancora ricordato specialmente sul web, nei modi più disparati, attraverso i suoi lavori più famosi e quelli più nascosti, e questa volta il flusso commemorativo sembra più necessario e sentito del solito. Sarebbe giusto vedere e ascoltare tutte le centinaia di link ai video e alle canzoni, leggere le citazioni, lasciarsi andare alla musica ascoltandola senza ridurla, come sempre accade, a sommesso tappeto sonoro. Risucchiati dalla vertigine della morte di Reed, dopo un po’ viene da pensare che la cosa più incredibile è che sia vissuto: che cosa enorme Lou Reed con i Velvet Underground, che cosa gigantesca Lou Reed da solo. Un pezzo importante della vita di molti.
Flusso di parole e poesia, una voce che ancora di più per un italiano suona come uno strumento, capace di lievi modulazioni che rendono canto un recitato avvolgente, il timbro unico in primissimo piano. Ancora in Italia è splendido l’uso romantico e ingenuo, in alcuni casi scoutistico apostolico del doo doo doo, ingegnoso refrain di un Walk on the Wild Side che racconta senza censure i migliori travestiti e marchettari che orbitavano attorno alla Factory. Ma Lou Reed non è solo banane rosa e Transformer, e una diversa maturità lo ha portato nei ’90 o giù di lì ad album stupendi come New York, dove racconta la Grande Mela e il suo mondo con l’intensità di un film di Allen o un libro di Auster. Il volto rugoso ed espressivamente impassibile custodisce tante versioni di sé, tante vie d’accesso, e qui ne propongo tre poco solite, vicine al mio personal Lou Reed.
Uno. Songs For Drella, il disco realizzato con John Cale nel 1990 in memoria del Dracula + Cinderella Andy Warhol. L’opera album che ricorda l’icona creatrice delle icone pop, disco di rara bellezza, rievoca oggi lo stesso Reed, le sue parole sembrano scritte anche per lui, e la chiusura di Hello it’s Me recita il più caloroso dei Goodnight, Goodbye.
Due. Gli unici a suonare in Songs for Drella sono Lou Reed e John Cale: chitarra, piano, violino, nessuna sezione ritmica. Il secondo punto d’accesso a Lou Reed concentra l’attenzione ai pezzi e alle performance privi di batteria, una versione del proprio suono ricercata più di una volta, dall’incredibile concerto per sola chitarra del 1994 al Primo Maggio, a pezzi fluviali come Like a Possum, al doppio live del 2004 Animal Serenade. Uno dei suoni privilegiati da Lou è questo: chitarra scarna e potente su cui scivola la voce, nella costruzione di un mantra avvolgente.
Tre. Why Can’t I be Good? è la domanda che si pone Lou in Così Lontano Così Vicino, non il migliore film di Wenders, ma comunque un buon posto dove trovare suggestioni, raccontando di un angelo troppo umano, che incarnatosi sulla terra si dà presto all’alcolismo. Perché non posso essere buono anticipa un interrogativo fondamentale in questi anni, ripreso recentemente da The Tree of Life di Terrence Malick, dove il figlio confessa al padre: io sono cattivo come te, e da Bad as Me del sulfureo Tom Waits. Nessuno può essere buono, ci sono solo diversi modi per essere cattivi, e Lou Reed ne incarnava alcuni dei migliori.
Leggi anche: Non a Perfect Day, dallo sketchbook di Antonio Tirelli.
28 novembre 2013