Cosa: Marcia su Roma, documentario Regia: Mark Cousins, 2022 Cast: Alba Rohrwacher Dove: al cinema dal 20 ottobre 2022
Una tshirt nera su cui campaggia la foto di Pier paolo Pasolini, che mostra la copertina del suo Le ceneri di Gramsci. Si presenta così Mark Cousins all’incontro bolognese con la stampa, regista di Marcia su Roma. Il film, una interessante miscela di filmati di repertorio e finzione, è distribuito in Italia dal 20 ottobre, grazie a I Wonder Pictures, su 38 sale cinematografiche. E se Pasolini può essere emblema di un pensiero artistico e politico, di certo programmatico appare il titolo di questo film opera di questo pluripremiato regista inglese.
Quanto Cousins prende a oggetto del suo lavoro è infatti un evento epocale, per noi italiani come per tutto il mondo. Ma si farebbe un errore a pensare che il regista si concentri unicamente sull’evento che i fascisti di Benito Mussolini iscenarono per “conquistare” Roma e piegarla al loro volere tra il 28 e il 30 ottobre del 1922.
Diviso in sei quadri, il film parte infatti da questo evento per smontarlo e mettere in mostra il progetto di comunicazione insito dentro al regime fascista: una menzogna travestita da verità, veicolata dalle immagini.
Cousins parte dall’analisi del montaggio di A noi!, documentario firmato da Umberto Paradisi e definito dal PNF come “la rappresentazione ufficiale dei memorabili avvenimenti”, quelli che hanno portato Mussolini “dalla sagra di Napoli alla conquista di Roma”. Un documentario in cui la manipolazione delle immagini offre livelli di realtà falsificati, a volte anche grossolanamente.
Nello specifico, Cousins indica come Paradisi abbia rimontato più volte le stesse sequenze “per fare volume”, per far credere allo spettatore che l’affluenza fascista sia enorme; che i mezzi a disposizione degli uomini di Mussolini siano ben più cospicui di quanto in realtà; che ritardare l’ingresso in scena dello stesso Mussolini sia un effetto drammatico e non la dichiarazione della sua assenza, il suo essere chiuso in una camera d’albergo a stringere accordi che il popolo non doveva conoscere.
Il meccanismo di fake news presente in A noi! si spande per tutto Marcia su Roma, portando Cousins a descrivere l’ascesa del regime fascista come resistibile (alle sue spalle debolezze, ripicche politiche e pressioni dei “poteri forti” di allora).
Un regime però che si rivela altamente capace di gestire la propaganda come mai nessuno prima, specie per quanto riguarda l’uso delle immagini. Un regime che dal suo insediamento, diventa “matrice” forte per le molte repliche apparse nel mondo. Da Salazar a Bolsonaro, da Francisco Franco al nazismo ai vari governi conservatori che troviamo sparsi per l’Europa, il seme è quello del fascismo.
Questo è un passato che ci vive ancora attorno, non solo come agente politico, ma anche subliminalmente attraverso palazzi, monumenti, slogan, che spesso sfioriamo inconsapevoli nei nostri tragitti quotidiani.
Quindi, a suo avviso, almeno le vestigia del regime mussoliniano sarebbero da abbattere?
«Non si può cancellare il passato perché siamo portati a ripetere gli stessi errori. A mio avviso ci sarebbe non tanto da cancellare, ma da contestualizzare quanto è rimasto in piedi di quel periodo. Parliamo di monumenti, di edifici, delle inscrizioni dove i simboli del fascismo sono ancora ben evidenti. Per esempio, l’obelisco in onore di Mussolini è un monumento alla mitologia del regime, al culto della personalità, è anche il simbolo evidente della politica coloniale fascista.»
Quello da cui la senatrice Boldrini voleva cancellare la scritta inneggiante a Mussolini…
«Ecco, a mio avviso non dovrebbe essere rimosso. La Storia non va rimossa, va contestualizzata. Magari, dove possibile, si potrebbero aggiungere altre inscrizioni che spieghino bene cosa significhino i simboli che vi sono scolpiti, cosa ha commesso l’uomo che vi si omaggia. Basterebbe mettere dei messaggi che spieghino a cosa hanno portato le idee rappresentate su quel monumento. Così anche su altri monumenti o altri edifici.»
Il suo film insiste sulla creazione delle false notizie, di come esistano da sempre. Crede ci sia modo, nel nostro mondo contemporaneo fatto prevalentemente di comunicazione via immagine, un mondo in cui la comunicazione è tutto e il suo contrario, di poterle almeno contenere?
«Le false notizie sono state per lunghissimo tempo in mano ai potenti e a chi aveva i mezzi per poterle creare. Stessa cosa possiamo dire delle immagini. Oggi entrambe possono crearle tutti, basta un semplice cellulare e un account per veicolarle sui social network. È per questo che il volume di false notizie aumenta costantemente. Per questo credo che sia importantissimo educare fin da piccoli a saper decrittare le immagini e comprendere quanto siano potenti, quanto possano far soffrire. Bisogna quindi imparare da subito a saper leggere e a usare le notizie in modo corretto. È il modo migliore per combattere l’ideologia reazionaria, quella fascista: mostrare le prove della falsità con cui alcune notizie vengono farcite.»
Lei crede sia sufficiente? Come spiega allora questo ritorno del conservatorismo estremo al governo in molte parti del mondo?
«Mussolini e il fascismo sono stati sconfitti. Se adesso stanno tornando quelle stesse idee, anche se in una forma diluita, alla fine saranno sconfitte nuovamente. Importante è andare a capire esattamente quali sono le idee e i media che possono far comprendere alle persone quanto il fascismo abbia torto. In questo modo questa ideologià tornerà a essere sconfitta per le idee che veicola, perché sono idee che non rispettano gli esseri umani. La domanda principale da farsi è però quante persone verranno, se non uccise, almeno rovinate durante il tempo in cui le forse conservatrici e reazionarie resteranno al potere?»
E l’educazione all’immagine può aiutare in questo?
«Il bello della telecamera è che venga puntata verso di me e che possa al contempo mentire. Ma che lo si voglia o meno, essa riprende le mie eventuali emozioni. Per quanto il totalitarismo possa mettere in scena una bella rappresentazione di sé, la realtà sbuca sempre fuori da dove meno te lo aspetti. I filmati di archivio hanno una grandissima importanza anche oggi per questo motivo: si può andare a cercare in essi il punto di realtà. Le immagini lo contengono e nessuno può riuscire a cancellarlo totalmente.»
Può spiegare meglio questo punto?
«Guardando i filmati d’archivio dell’Istituto Luce, la loro prospettiva fascista, mi sono reso conto di come da essi salti spesso all’occhio un qualcosa, un piccolo particolare. Quel particolare, è vero, reale, non falsificato. E ti da una prospettiva opposta a quanto si svolge nel documentario. E richiama la tua attenzione.
Anche le immagini che possiamo definire come “velenose” hanno in sé qualcosa di vero. Il gioco è andare a cercare questo qualcosa: andare a cercare in quelle immagini la parte di realtà. Faccio un esempio. In Marcia su Roma ci sono riprese sull’invasione italiana dell’Albania. Vediamo gli albanesi che applaudono con entusiasmo all’arrivo delle truppe italiane. Ma ben visibile c’è una donna che invece batte le mani molto lentamente. Bene, quella è l’immagine della realtà. Lei sa come stanno le cose, sa che è tutto teatro.»
Sempre a suo avviso, non è che la fine delle testimonianze dirette sui vari eventi abbia aperto nuovamente l’autostrada a un ritorno delle ideologie fasciste?
«Credo che in massima parte tutto questo dipenda da una questione di amnesia. Nel senso che queste cose bisogna impararle e reimpararle. Anche perché il messaggio del totalitarismo spesso si presenta inizialmente come assolutamente non malvagio. Quindi bisogna reimparare costantemente la pericolosità del totalitarismo, del conservatorismo acceso, perché a far male saranno le conseguenze che ne discendono. Quali sono le consequenze sulle persone più vulnerabili, più piccole, più povere? Chi sono quelli che ci vanno realmente di mezzo?»
Il fascismo non potrebbe essere stato una forma di protesta che parte dal basso?
«Per quanto dicevo prima, le volte in cui si parla di protesta fascista non riesco a considerarla come vera. Quello che per me è spontaneo è la protesta delle donne in Iran, per dire. Ecco, quella è una protesta spontanea. Nella marcia su Roma non c’era nulla di spontaneo. Come ho già detto, per questo mio lavoro ho guardato e vagliato moltissimo materiale d’archivio di proprietà dell’Istituto Luce. Mi hanno colpito emotivamente varie cose. Fra queste, vedere l’uso violento che veniva fatto del mezzo cinematografico. Nel caso specifico, è cinema che diventa vero bullismo.»
Cosa l’ha spinta a lavorare sopra Marcia su Roma?
«Tony Saccucci aveva iniziato a lavorare su A noi!, ma il progetto non riusciva a trovare una forma compiuta. La produzione me lo ha fatto conoscere e l’ho trovato molto interessante, così ci siamo messi a lavorare insieme.»
Come ha lavorato sullo script?
«Come faceva David Bowie per i testi delle sue canzoni. Scriveva a blocchi per poi tagliarli e rimontarli. Lo script del film è una specie di lunga pergamena,su cui ci sono i capitoli in cui è diviso. La prima volta che mi sono sentito con Andrea Romeo per parlare del progetto ho pensato che doveva essere costruito un po’ come una sinfonia. Senza paragonarmi a Bowie, ho usato una tecnica simile, spostando i pezzi dove mi pareva funzionasero meglio. Anche se uno fa un film su una delle cose peggiori al mondo come è il fascismo, bisogna sempre farsi domande e avere una idea chiara sulla composizione, sull’estetica e sulla poetica che si vuole usare al suo interno.»
Il film è una via fra documentario e finzione. Qual era il suo intento primario? Informare o emozionare?
«Documentario non è soltanto un genere, ma una parte del cinema. Quindi sotto l’etichetta di documentario vi sono molti generi diversi. A me piace molto mischiare i generi. Un po’ il contrario dei fascisti che volevano tutto irregimentato. Il mio è un film che può avere tante voci.»
Fra le immagini di repertorio e quelle girate da lei si nota una contrapposizione abbastanza netta…
«Nel film, le immagini che ho girato vogliono essere programmaticamente delicate, gentili. Questo perché la parte gridata la fanno le immagini di archivio. Volevo che le mie fossero diverse.»
La parte recitata da Alba Rohrwacher l’ha scritta lei, faceva parte dello script?
«Sì. In questo film sentivo il bisogno ci fosse non soltanto tanta roba in sottofondo, ma anche una persona che fosse in primo piano, che dichiarasse il suo emotivo evolversi rispetto a quanto accade durante il fascismo. Ho scritto il testo e l’ho inviato ad Alba.»
Quando è stato chiuso il film?
«Abbiamo iniziato a inviare il film ai festival da fine aprile. Quindi poco prima.»
Direi che per l’Italia è un film…
«Profetico?»
Esatto. Invece, per quale motivo ha deciso di aprire con Trump che elogia Mussolini?
«Volevo iniziare con qualcosa di recente, che fosse shockante. Inoltre, Trump parlava di Mussolini e io volevo montare le sue dichiarazioni con la musica di Madama Butterfly. Questo perché il discorso che aveva tenuto al San Carlo di Napoli nel 1922 era stato preceduto dalla rappresentazione della Butterfly. Noi abbiamo fatto salire la musica fino quasi ad azzittire Trump, come effetto cinematografico.»
Secondo lei l’uso che il fascismo ha fatto delle immagini è stato più intelligente o più furbo?
«Dopo aver scandagliato gli archivi dell’Istituto Luce, posso arrivare a dire che il fascismo possiede entrambi gli aspetti. Era una ideologia abbastanza intelligente da capire quali fossero le immagini che avrebbero avuto presa sulla gente.»
Nel suo film trovano spazio alcuni artisti che lei indica come conniventi con il fascismo se non proprio come creatori dell’iconografia fascista. Viene da chiederle se l’arte va al di là del pensiero che veicola.
«Sarebbe bellissimo pensare che gli artisti siano sempre dalla parte degli angeli. Ma sono esseri umani e molto spesso non sono angeli. Spesso, anzi, sono concentrati sul proprio ego e spesso sono dalla parte sbagliata.»