Cosa: Il Corpo del Peccato, romanzo noir Chi: intervista alla scrittrice Silvia Di Giacomo Editore: Foschi
Ai tempi belli di Radio città del capo, anni fa, avevo intervistato Silvia Di Giacomo per il suo esordio noir nella narrativa per ragazzi. Oggi che il Covid-19 ha cancellato la possibilità di incontrare gli autori e sentirli parlare del loro lavoro, la contatto via mail per parlare del suo nuovo romanzo. Rigorosamente sempre in noir e con un titolo che, in maniera bifronte, suggerisce quanto le pagine contengono. Ne Il corpo del peccato, edito da Foschi editore nel febbraio di questo disgraziato anno bisesto, il Male gioca le sue carte muovendosi attraverso omicidi, pulsioni sessuali estreme e donne che pagano per colpe non loro.
Ambientato in parte nelle viscere di una Bologna che dire notturna è poco, ricca di locali equivoci, di sfruttatori, ma soprattutto di un profondo “male di vivere”, Il corpo del peccato mette in campo Claudio Degli Esposti, un commissario alle prese con i suoi demoni interiori, ma capace di usarli per trarne fuori elementi utili alle sue indagini. Indagini che partono dall’omicidio di Maddalena Costa, donna dell’alta borghesia cittadina, figlia di due disturbati gemelli (che non si capisce come possano fare i notai…) per allargarsi sul territorio ad altri omicidi e a un rovello interiore senza fine. Ma più di ogni altra cosa Di Giacomo racconta nel suo romanzo la doppia natura delle cose e degli uomini. O meglio, il confine labile che separa il buio dalla luce.
Prima di parlare della tua nuova fatica letteraria, puoi dirmi cosa ci fa una gemmologa nel mondo del noir? Anzi, come si muove una gemmologa all’interno del noir?
Come per la maggior parte di coloro che hanno una laurea scientifica (sono geologa, specializzata in gemmologia) mi appassiona, nei romanzi, come nelle serie tv, l’analisi e lo studio delle prove e delle scene del crimine. Per antitesi con la mia formazione, sono affascinata dal lato sociologico e psicologico dei delitti. Perciò, quando scrivo, oscillo tra le due anime dell’investigazione.
Ma non hai mai usato la tua professione in quanto scrivi.
È vero. Finora non ho ancora parlato di gemmologia nei miei libri, ma arriverà.
Cosa ti ha spinta a scegliere questo genere letterario?
Come nella vita siamo quello che mangiamo, nella scrittura siamo quello che leggiamo, almeno credo. Io adoro leggere romanzi distopici – da qui il mio esordio con Lo stato di Dio – e sono appassionata di noir e thriller, dei grandi maestri come Scerbanenco, ma anche dei tanti contemporanei, sia italiani che nordici. Da qui nasce il desiderio di mettermi alla prova in questo genere attraverso questo romanzo e, prima ancora, attraverso un thriller per ragazzi, L’amico virtuale.
Quella che proponi con Il corpo del peccato è una storia “doppia”, dove a prevalere sembrano le pulsioni di controllo e dominio.
La narrazione che prevede più fili narrativi che sembrano paralleli, ma poi si intrecciano, permette di parlare di tante vite e mi è servita a tale scopo. In questo intreccio si evidenziano vittime e carnefici, oppressori e oppressi, tutti guidati dalle proprie pulsioni. Dominio e bisogno di libertà sono forze in teoria antitetiche, però in questa storia e forse anche nella realtà non vi è bianco e nero, ma una infinità di grigi.
E c’è il sesso, che mi pare venga proposto sia come motore sia come elemento, anche taumaturgico, del racconto.
La sessualità dei personaggi è l’espressione della loro natura. Mostrarla è un modo per svelare senza raccontare troppo. Io narro sia la sessualità oscura, marcia, consumata nel mondo dello sfruttamento del corpo femminile, che quella personale e tormentata del commissario Degli Esposti. Che talvolta diviene il mezzo per un riscatto personale.
Il sesso mi pare soprattutto decifrabile come interpretazione del campo del dominio, che lei inserisce ne Il corpo del peccato eliminandone parte della morbosità con cui da sempre lo interpretiamo.
La morbosità è frutto di un pensiero arcaico e moralista che inquina la natura delle persone trasformando le inclinazioni personali in peccati. La frustrazione e il senso di colpa per desideri non convenzionali, come quello di dominio, che riguardano esclusivamente la sfera del privato, aprono la via a dolorose psicosi. I locali notturni in mano alla criminalità organizzata spesso offrono ingannevole sollievo proprio a queste sofferenze e solitudini. Lo stesso Degli Esposti, tormentato dai proprio demoni, ha cercato in passato sollievo in quegli ambienti malfamati che ora cerca di combattere.
A farne le spese, un nutrito gruppo di donne, che si fanno vittime e carnefici senza soluzione di continuità. Più carnefici che vittime?
La Bologna sotterranea, notturna e noir del romanzo è ricca di donne forti, consapevoli, mai arrese al ruolo di vittima, seppur sfruttate. Non divengono certo carnefici, ma trovano nella vendetta un riscatto, a mio parere, necessario.
Hai scelto di dare voce a un commissario integerrimo eppure dall’animo torbido. Ma hai scelto anche di creargli attorno un coro di altre voci. Sono infatti molti i personaggi che si muovono nel romanzo. Non è stato rischioso mettere così tanti personaggi in scena? Perché hai deciso di muoverti in questa direzione?
Questo romanzo ha visto molte stesure intermedie e i consigli di grandi professionisti. Alla mia meravigliosa editor Valeria ho chiesto più volte se non fosse troppo. L’intento era di fare un affresco di tante vite dolorose, degli ultimi che spesso non vediamo o non vogliamo vedere, di chi ha superato il labile confine che ci separa tutti dall’emarginazione. Secondo la mia editor, l’intento è stato raggiunto; speriamo lo pensino anche i lettori.
Dall’altra parte della barricata, nel romanzo troviamo la famiglia Zorzi. Due fratelli con ben altre deviazioni, una madre con ben altri orrori che la agitano per decenni…
La famiglia Zorbi è anche lei vittima del pensiero arcaico e moralista, che in questo caso però si veste di fanatismo religioso fino a giungere alla follia. La vittima dell’omicidio oggetto di investigazione è la matriarca della famiglia, una donna con grandi colpe che da bambina è stata lei stessa maltrattata.
Mi ha incuriosito il fatto che la voce femminile di una delle due storie, quella “afferente”, secondaria, abbia un nome così primigenio: Eva. Come se a lei toccasse il compito di rinascere. Ma anche come se le toccasse scontare un peccato, assurdamente innominabile.
Sì, in effetti si chiama Eva proprio perché reputata portatrice del peccato originale. Il suo destino è stato segnato fin dalla nascita, da un concepimento considerato peccaminoso da chi poi l’ha celata al mondo.
Mi pare ci sia un gioco di specchi fra queste due storie e per alcuni personaggi: Claudio Degli Esposti, il commissario, ha lo stesso cognome della sua collega Idea, i notai sono i due fratelli Zorbi…
Il gioco degli specchi è un altro modo per mostrare i personaggi senza raccontare troppo. I dialoghi diventano così un modo diretto per svelare i pensieri, le paure e le speranze senza che debba farlo il narratore usando la terza persona, con “spiegoni” noiosi e ridondanti.
Nel romanzo recuperi una idea di Bologna come città solo apparentemente bonaria, il cui rovescio è tutto un universo di oscurità e disagio. Un tema caro da sempre agli autori bolognesi fra anni Settanta e inizi anni Novanta, ma che si era un po’ perso.
Bologna ha qualcosa di dark con i suoi portici, le vie strette e le vecchie osterie seminascoste. Uno degli ultimi romanzi di Gianluca Morozzi, Dracula ed io, riprende proprio questo aspetto. Alcune descrizioni a me hanno ricordato le tavole di Andrea Pazienza. Il grande noir italiano, nei romanzi come nei film, faceva proprio questo: raccontava, attraverso una investigazione, la società e i suoi lati oscuri.
Mostri una città non pacificata nelle tue pagine. Però il Male si concentra in pochi luoghi, soprattutto in un locale notturno…
Un night con un’insegna lampeggiante. Il Rose Night è un omaggio alle atmosfere dei grandissimi gialli americani.
Ma esistono ancora luoghi del genere, in città? O sono più che altro luoghi dell’anima?
Qualcosa esiste, ma non nelle viuzze del centro storico, come l’ho posizionato io. Più in periferia o intorno alla stazione centrale. Sicuro l’ambientazione interna, alla David Lynch, è la trasposizione di sentimenti, paure, pulsioni.
Alla fine Il corpo del peccato racconta una storia nera. Ma nera perché parla di un disagio contemporaneo: la solitudine che avvolge un po’ tutti. Mi pare questo il nucleo duro del romanzo. Non tanto la detection, ma questa solitudine che produce dolore, paura, rabbia. Qualcosa che Bologna conosce bene.
Sì è così. Bologna ospita perfettamente il senso di giustizia del commissario Degli Esposti, ma è perfetta anche per accogliere la solitudine di chi viene da lontano, che siano migranti o rifugiati. Bologna ha conosciuto la guerra, è stata ferita a morte per fare da cassa di risonanza del terrore stragista. Ha vissuto sulla sua pelle le conseguenze del pensiero conservatore arcaico e della paura di un comunismo reale, che in realtà non era una minaccia. Ha visto la contestazione, le donne in piazza per i propri diritti, i lavoratori lottare. E anche se forse un po’ di quella forza ce la siamo mangiata in questi anni, è stata amata da tantissimi studenti fuorisede, che poi qui si sono fermati, come i miei genitori.