La stagione “trasversale” del teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno

Teatro, musica e balletto, con molte storie dalla narrativa e, inaspettatamente, dalla poesia

Chi: Teatro “Laura Betti” Casalecchio di Reno Cosa: Stagione teatrale 2019/20120 Dove: Piazza del Popolo, 1, Casalecchio di Reno BO Programma e biglietti: teatrocasalecchio.it

Bologna città metropolitana bis e sempre per quanto riguarda il teatro. Questa volta l’affermazione vale guardando verso il nord, verso Casalecchio di Reno dove sta per prendere avvio la nuova stagione del teatro comunale “Laura Betti”. Estremamente ricca e variegata, la stagione intreccia vari linguaggi teatrali, attraverso spettacoli in cui il gradiente del contemporaneo si fa molto forte. Tanti e vari gli spettacoli – esattamente diciannove – che si toccano fra loro attraverso connessioni tematiche e per messa in scena, pescando attivamente nella nostra contemporaneità e rilanciando quanto sta nella memoria storica e sociale. Solo così ci pare possibile descrivere quanto il “Laura Betti” offre in questa stagione 2019/2020. Oppure usando il termine frusto, ma ancora efficace, di “multidisciplinarietà”.

Termine che torna in mente molto spesso scorrendo il cartellone che, sotto il titolo ombrello di “Concerto elementare”, va dal 7 novembre 2019 al 17 aprile 2020.

Se l’assaggio offerto da Stereotypes game della coreografa Yasmeen Godder, per il festival Gender Bender, lo aveva fatto ben intuire, la conferma spetta a Overload (7 novembre), prodotto da Teatro sotterraneo. Lo spettacolo si avvale della drammaturgia di Daniele Villa ed è dedicato alla figura dello scrittore e saggista David Foster Wallace, a quasi undici anni dalla scomparsa. Più che alla figura dell’autore statunitense quello che avviene sul palco prende le mosse da Questa è l’acqua, discorso che Wallace aveva scritto nel 2005 per la cerimonia delle lauree al Kenyon college (Gambier, Ohio).

La pièce è centrata sulla perdita di attenzione verso quanto facciamo, sul sovraccarico di impegni e di obblighi cui siamo sottoposti, capace di stornare dalla nostra testa l’importanza dell’“imparare a pensare”. Tutto questo è Overload, definito nella cartella di presentazione “un ipertesto teatrale sull’ecologia dell’attenzione”, che vede in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri (Wallace), Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Marco D’Agostin. Un combo la cui coesione attoriale ha portato lo spettacolo a ricevere il premio Ubu 2019 Spettacolo dell’anno. Si basa cioè sull’essere consapevoli che decidere di prestare attenzione a questa cosa e non a quest’altra rappresenta un esercizio fondamentale per sviluppare la propria indipendenza di pensiero e azione.

Se Overload risulta apodittico nella direzione tematica, non è da meno Radio clandestina, riportato in scena da Ascanio Celestini nel suo ventennale (22 novembre), all’interno di Politicamente scorretto. Muovendosi dal libro di Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito, Celestini dà voce alla parte orale della Storia, per la precisione quella che racconta in presa diretta i giorni in cui Roma era sotto occupazione nazista. Lo snodo centrale è il 24 marzo 1944, eccidio delle Fosse Ardeatine. Non sono però le voci delle 335 vittime della rappresaglia – dieci per ogni tedesco – a entrare in Radio clandestina, quanto quelle di chi, familiare o amico, venne colpito dalla loro morte. Spettacolo che quindi ragiona anche sulla memoria, solo in parte definibile come “storica”. Ancora meglio: rappresenta qualcosa di sempre vivo nel corpo della nostra capitale. O almeno così dovrebbe essere.

La narrazione teatrale, ripresa da saggi, reportage, romanzi e altro appare comunque il filo di molti spettacoli presenti in cartellone.

Per esempio, guardando alla programmazione del 2020, da tale “retroterra” proviene Storia di un’amicizia (25 gennaio), liberamente ispirato a L’amica geniale di Elena Ferrante.

Nella trasposizione teatrale firmata Fanny & Alexander, va nuovamente in scena la storia dell’amicizia fra Elena Greco (Chiara Lagani) e Lina Cerullo (Fiorenza Menni), quasi pedinate nella loro crescita individuale, nel modo di influenzarsi reciprocamente, nei sentimenti, nelle condizioni di distanza e prossimità che nutrono il loro rapporto. La regia di Luigi De Angelis si sofferma con attenzione sulla sfera personale, lasciando sullo sfondo una città dilaniata dalle contraddizioni del passato, del presente e di un futuro che ancora non è definito con precisione.

La poesia è l’attore principale di Macello (30-31 gennaio, 1 febbraio). Il lavoro creato da Pietro Babina e Johnny Costantino è infatti ricavato dalla omonima raccolta poetica di Ivano Ferrari. Il luogo in cui si svolge non poteva allora che essere un macello. Luogo tragico per sua essenza, «in cui si mantiene ardente, come brace sotto le ceneri, un’attitudine allo sterminio» dice Babina. Fra le mura del mattatoio lo sterminio è prassi «al momento rivolta verso il diverso in quanto animale (cosa a mio parere non meno grave)», ma che «potrebbe da un momento all’atro mutare il suo soggetto di riferimento». La metafora su cui si fonda Macello è quindi chiara: «la crudeltà e la sofferenza riservata agli animali, appare in tutto identica a quella riservata agli umani discriminati». Il tutto passa attraverso quello che Babina definisce come una forma di pregiudizio fortemente radicato nella specie umana, ovvero la «presunzione di essere detentori di alcune caratteristiche metafisiche che ci consentono di prevalere anche crudelmente su altri esseri viventi una volta classificati di specie diversa (ovviamente inferiore)».

La raccolta che Ferrari pubblica nel 2004 per Einaudi, diventa così la miccia da cui muove l’azione teatrale per ragionare sui campi di sterminio e su come «degli uomini, a noi in tutto simili, abbiano potuto compiere una tale mostruosità». In scena Pietro Babina (voce e suoni) e Giovanni Brunetto (Immagini).

Interessante anche Storia di un oblio (27-28 febbraio) per la regia di Roberto Andò. Il dramma è tratto dal libro Quel che io chiamo oblio di Laurent Mauvignier, edito da Feltrinelli per la traduzione di Yasmina Melaouah, e prende a pretesto la storia vera di un uomo che in Francia entra in un supermercato e ruba una lattina di birra. Possiamo definirlo come un gesto di risibile importanza criminale. Peccato che nella cronaca l’uomo venga bloccato da quattro addetti alla sicurezza, i quali lo trascinano nel magazzino e lì lo riempiono di botte fino a farlo morire. Mauvignier trasforma questa storia in un flusso di parole dove immergere lo spettatore, facendo però attenzione a cancellare da esse ogni forma di retorica. Andò segue questo percorso con grande maestria, guidando sulla scena Vincenzo Pirrotta in una prova attoriale funambolica dove il precipitare dentro l’inferno porta allo spasimo l’assurdità del racconto e dà vita a un teatro urticante.

Storia e tema accomunano poi Andò a Marco Baliani, per quello che è un altro appuntamento con il “teatro di narrazione”.

Baliani porta infatti a Casalecchio Una notte sbagliata (6 marzo): sua la drammaturgia e la resa attoriale, regia di Maria Maglietta.

Il filo del racconto è la storia di Tano, pestato a morte da alcuni agenti durante il corso di una lunga notte. A differenza di quanto accade in Storia di un oblio, qui la storia si muove sia dentro il corpo fragile di Tano che uscendo fuori da esso per “visitare” tutti i corpi dei protagonisti la vicenda. Compreso un cane. L’attore piemontese propone una ridda continua di cambi linguistici e percettivi, che va a comporre “un arazzo psichico” capace di rimandare allo spettatore il senso della gratuità del male, con tutto il suo portato emotivo. Non solo, lo conduce a ragionare su quanto percepisce, a farsene carico.

Anche questi due spettacoli fanno parte del set di “Politicamente scorretto”.

È da notare come il tema della morte sia presente in molte delle opere proposte in cartellone. Per esempio, torna in chiave filosofico-trascendentale ne La morte e la fanciulla (20 marzo), pièce allestita dalla compagnia di danza Abbondanza Bertoni. La narrazione si muove attorno a tre figure femminili che si spostano su un doppio piano di senso. Da una parte quello dell’azione performativa, da cui si scivola a quello proposto grazie a uno schermo, da cui viene restituito metaforicamente allo spettatore il “come” la Morte ci vede.

Anche César Brie, regista e attore argentino, mette la morte al centro del suo Nel tempo che ci resta (4 aprile), ultimo dei quattro spettacoli proposti all’interno di “Politicamente scorretto”. Lo fa richiamando le stragi di Capaci e via D’Amelio in modo da evidenziare le domande sul cosa siano l’essere umano e cosa la memoria civile. L’opera è ambientata a Villagrazia, in un cantiere abbandonato. Lì si ritrovano pirandellianamente le anime di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto. Insieme alle loro, quella del pentito Tommaso Buscetta. I cinque ricordano, denunciano, si interrogano, in modo tanto amaro quanto lucido, sul cosa è accaduto prima e dopo la loro morte.

Risalendo il cartellone, è da segnalare in chiusura, un’altra ripresa. In realtà è un vero e proprio riallestimento quello che vede coinvolto Mario Martone con il suo Tango glaciale in versione Reloaded (18 dicembre).

Una riproposta di assoluta rilevanza storica rispetto a quello che era il nuovo teatro italiano. Lo spettacolo debuttò nel 1982, quando Martone aveva 22 anni ed era parte del gruppo Falso movimento.

L’operazione non è un gioco nostalgico, ma racconta di quanto il giovane teatro degli anni Ottanta sperimentasse in varie direzioni. Con Tango glaciale si muoveva in una direzione fisica, rifuggendo dall’usare unicamente il testo come veicolo espressivo. Un teatro artaudiano, quindi, ricco di interventi pittorici che si intersecano ad ambientazioni grafiche, a parti cinematografiche, a testi presi da Saffo e Martone, da Arana e Beyus.

In scena tre giovani danzatori (Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro), che al momento della prima messa in scena nemmeno erano nati. Sono i tre abitanti di una casa senza pareti “fisiche”, divisa in dodici ambienti per dodici diverse scenografie. No, non è una ripresa Tango glaciale, bensì un vero riallestimento operato da Raffaella Di Florio e Anna Redi. Di più, è un riportare alla contemporaneità che gli spetta un pezzo fondamentale per la storia del nostro teatro. Importante allora che passi da Bologna, città metropolitana.