IN BREVE Cosa: Chagall. Sogno e magia Dove: Palazzo Albergati Quando: 20 settembre 2019 – 1 marzo 2020 Orari: Tutti i giorni 10-20 Costo: Intero 15 € (audioguida inclusa)-14 €; ridotto 13 € (audioguida inclusa)-12€ Info e prenotazioni: palazzoalbergati
Da dove iniziare per raccontare Chagall. Sogno e magia, splendida mostra prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia per la cura della critica d’arte Dolores Duràn Úcar? Un buon punto di partenza è l’omonimo splendido catalogo che la accompagna, pubblicato da Skira. La mostra, ospitata dal 20 settembre 2019 al Primo marzo 2020 nella splendida cornice di Palazzo Albergati a Bologna, propone ben 160 opere che occupano per intero i due piani espositivi. Opere spesso mai viste in Italia, con un nucleo sostanzioso proveniente da collezioni private, presentate all’interno di una bellissima coreografia-labirinto. Il visitatore si muove fra acquerelli, gouache, disegni, olii, acqueforti e xilografie posizionate in ampie sale blu o rosse, a volte separate da stretti corridoi, quasi momenti di pausa fra una esplosione creativa e l’altra di questo grande maestro della pittura. Cinque sezioni più una Dream room dove il visitatore potrà vivere una esperienza immersiva nell’universo creativo di Chagall.
Se la mostra offre un filo narrativo che racconta sì vita e lavoro di Chagall, ma soprattutto rende partecipi di una sensibilità unica, di una diversità del fare pittorico che ha reso l’artista perfettamente distinguibile fra i maestri della pittura, il catalogo permette di tornare ad ammirare le opere esposte, di ragionarle e valutarle in un contatto ravvicinato e ripetuto, sostenuto dalla puntuale introduzione di Duràn Úcar, cui abbiamo chiesto di raccontarci struttura e contenuti di Chagall. Sogno e magia.
Come è organizzata l’esposizione?
«La mostra offre la possibilità al visitatore di poter ammirare ben 160 opere di Marc Chagall, posizionate non in ordine cronologico ma suddivise tematicamente lungo cinque sezioni. In Sogno e magia si può seguire il lavoro di questo grande maestro, il costante ritornare dei suoi temi preferiti, sostenuti dal tema cardine dell’amore, che si realizza nell’idea di coppia. L’arco che la mostra copre con le opere esposte va infatti dall’olio La cruche aux fleurs, del 1925, seguito da Villaggio russo che ritrae la città natale di Vitebsk, del 1929 e arriva al David et Goliath del 1981. In questo modo vengono rappresentati cinquant’anni di lavoro di Chagall. Muovendoci lungo il percorso, possiamo notare come le sue radici russe, il riferirsi alla tradizione della sua terra natale, siano sempre presenti. Chagall nasce nel quartiere ebraico di Vitebsk, luogo che gli è rimasto sempre nell’anima. Possiamo dire che in lui, nel suo lavoro, è sempre presente».
Ma c’è anche molta passione per la scrittura, nei lavori che ha selezionato.
«È un altro elemento centrale nel lavoro di Chagall. In Ma vie, l’autobiografia in cui racconta i suoi primi quarant’anni pubblicata nel 1931, afferma come da sempre avesse voluto essere un artista. Pittore, sì, però voleva diventare anche un violinista e, soprattutto, voleva essere uno scrittore. Questa passione è seconda solo a quella per la pittura. Nella prima sezione si possono ammirare ventiquattro incisioni xilografiche intitolate appunto Poèmes e pubblicate nel 1968, in cui si può ammirare il mondo onirico di Chagall insieme ad alcune sue poesie».
Chagall ha anche scritto poesie.
«Però è stata un’attività sempre secondaria, per lui. In tutta la sua vita ha scritto solo due libri. Se il primo è l’autobiografia, il secondo raccoglie tutta la sua produzione poetica. Sono circa trenta testi usciti nel 1975 con lo stesso titolo delle xilografie: Poèmes. La poesia è cioè stata molto importante per Chagall, ma come un compagno delle sua pittura».
Ne era attratto.
«Durante tutta la vita ha mantenuto un rapporto molto forte con alcuni fra i più importanti poeti del suo tempo: Apollinaire, Cendràs, Malraux e altri ancora. Loro sono stati suoi amici. Ha illustrato anche alcuni dei loro libri. E vi è stata sempre ammirazione reciproca. Quando arriva per la prima volta a Parigi, nel 1911, è un pittore russo che non parla francese e si sente insicuro della sua opera. A Parigi vincevano il cubismo, l’orfismo, mentre il suo lavoro è molto diverso. Guarda caso, i suoi primi amici sono stati i poeti surrealisti. Sono loro ad aver compreso istintivamente il suo lavoro, l’hanno visto come una traduzione su tela della poesia come la intendevano. Ecco perché dico che in questa prima sezione vediamo il pittore poeta».
Chagall ha comunque sempre mantenuto una relazione con la parola scritta.
«Infatti la seconda sezione offre una continuazione ideale del suo rapporto con la letteratura. In questi spazi abbiamo collocato le acqueforti che Chagall ha creato per illustrare Le favole, di La Fontaine. Sono circa un centinaio e sono un passaggio importante all’interno dell’esposizione. Da aggiungere che non è una esperienza non nuova per Chagall. Nel 1927 l’editore e mercante d’arte Ambroise Vollard gli aveva già commissionato le illustrazioni per Le anime morte di Gogol’. Quella edizione ebbe un grandissimo successo di pubblico. Per questo gli commissiona un secondo lavoro. Oltretutto Chagall è sempre stato molto affascinato dagli animali».
Che sono un altro tema caratterizzante della mostra, insieme ai fiori.
«Sì, esattamente. Lui ama gli animali perché sono stati importantissimi nella sua vita. Nella sua infanzia trascorsa in Russia, trascorre le estati dai nonni, che avevano vari tipi di animali. Così illustra La Fontaine con estrema creatività. Sottolineerei anche come la distanza temporale fra i due artisti si sia risolta in una bellissima “sintonia” e in una altrettanto perfetta “simbiosi”.
In che senso?
«Entrambi amavano gli animali e le tradizioni popolari. Entrambi prestavano una grande attenzione al comportamento umano e, cosa non secondaria, entrambi avevano una fine ironia. Per non parlare della grande forza immaginativa. Ecco che il tutto si risolve in un perfetto equilibrio, una perfetta simbiosi fra testo e immagine».
Possiamo dire che Chagall resta legato alla narrativa anche quando gli si chiede di illustrare la Bibbia.
«Lavoro che viene proposto nella terza sezione di Sogno e magia, quella che apre il piano superiore. È sempre Vollard a commissionarglielo e sono sempre acqueforti. Quello che si nota immediatamente nel lavoro sulla Bibbia è l’assenza di animali, quindi una discontinuità rispetto alle favole di La Fontaine. Qui Chagall entra nella sfera religiosa, nell’idea di religione intesa in senso universale».
È un testo che lo affascina moltissimo.
«Chagall ha affermato che la Bibbia è il poema più profondo che avesse mai conosciuto, basti pensare questo. Comunque lui va in Terra santa nel 1931 per documentarsi, per avere ispirazione. Lì, da ebreo errante come lo definisco nell’introduzione del catalogo, lui trova le sue radici, trova la sua origine. A livello artistico, è la luce della Palestina a colpirlo moltissimo e a influenzare la creazione delle incisioni, che hanno la particolarità di essere state colorate a mano. Da notare che Chagall lavora alle illustrazioni per la Bibbia in due momenti diversi. Fra il 1931 e il 1936 produce 66 stampe. Poi si interrompe per la morte di Vollard. Quando vi ritorna sopra sono gli anni Cinquanta, trova l’editore greco Tériade disposto a sostenere le spese e così nel 1956 dà alle stampe due volumi contenenti 150 incisioni».
Nella sezione vi sono altre sue opere che riprendono la Bibbia.
«Sì, fanno parte della sua ultima produzione, sono datate anni Ottanta come David et Goliath o En route, l’âne rouge. Cosa che mi permette di sottolineare come Chagall abbia lavorato molto su questo testo sacro, come vi sia tornato più volte, dall’inizio della sua carriera fino alla fine».
È stata una fonte di ispirazione relativamente secondaria rispetto alla coppia, agli animali, ai fiori…
«Però, ribadisco, è sempre presente nella sua produzione. Perché culturalmente è una parte importante della sua vita. Si porta dietro il ricordo di quando, da piccolo, andava con la famiglia in sinagoga. Lì leggevano appunto le storie estratte dalla Bibbia e lui vi lavorava su con l’immaginazione. Detto questo bisogna mettere in relazione con la Bibbia anche i lavori che Chagall produce attorno per il libro dell’Esodo. È un’altra serie di ventiquattro incisioni, ventiquattro scene datate 1966, in cui l’artista prende il tema dell’esodo biblico e lo racconta, mettendolo in parallelo con la persecuzione subita dal popolo ebraico durante il nazismo. Ricordiamo che lui e sua moglie Belle, in quanto ebrei, sfuggirono alla persecuzione nazista solo rifugiandosi negli Stati Uniti.
Sul tema dell’esodo, che lega religione a quello che è il suo sentimento di esiliato, di sradicato, Chagall crea litografie in cui racconta la vita di Mosè da quando viene ritrovato dalla figlia del faraone in un’ansa del Nilo fino all’arrivo del popolo ebraico nella terra promessa. È un lavoro importantissimo nel percorso dell’artista».
Ha parlato del come Chagall fosse profondamente legato alla sua infanzia.
«È un legame profondissimo, che abbiamo reso evidente nella quarta sezione con vari tele, fra cui spicca Villaggio russo, un olio che abbiamo già citato. È uno scorcio di Vitebsk, la città natale dell’artista, con in primo piano due costruzioni in legno, una dipinta di blu e l’altra di rosso. Tutto il paesaggio è ricoperto dalla neve e il cielo è plumbeo. Ma ad attraversarlo ecco una slitta trainata da un vitello».
Come dire che mondo onirico e poetico erano presenti fin da subito nel suo lavoro?
«E non lo abbandoneranno mai. Proprio per immergere il visitatore della mostra nel suo mondo onirico, abbiamo creato una “Dream room”, una camera magica, poetica. In sostanza, una video installazione la cui ideazione e regia si deve a Vincenzo Capalbo e Marilena Bertozzi, che prende dalle opere di Chagall ma le svincola dal reale, le frammenta per tradurle in emozioni che risalgono dall’inconscio profondo.
Dopo questa sosta, si arriva alla quinta e ultima sezione della mostra, che ospita un gruppo importantissimo di opere. Appartengono tutte a collezionisti privati, quindi sono difficili da poter vedere in luoghi aperti al pubblico. In tutto sono ventiquattro e vi ritroviamo le tematiche care a Chagall, con in più il rimando alla sua passione per il circo già presente nella prima sezione. Lui amava molto andare al circo, per lui era un luogo in cui si respirava la libertà. Lo frequentava a Vitebsk, lo frequenta a Parigi. Ci andava spesso insieme a Vollard. Si sedeva in mezzo al pubblico e disegnava senza posa. Abbiamo esposto alcuni dei disegni realizzati al Cirque d’Hiver. Insieme a queste, e prima di queste, vi sono opere in cui l’amore è il potente tema conduttore».
Che è poi il filo rosso di tutta la mostra.
«In questa sezione trovano posto opere in cui si vedono gli innamorati che volano per il cielo. È l’idea di Chagall: essere innamorato è come essere sulle nuvole. È l’evocazione dell’essere innamorati. Questo lui rappresenta. Inoltre spesso gli innamorati appaiono con accanto un mazzo di fiori, intenti a baciarsi, come in Le reve del 1980. Fiori e amanti uniti, diventano in Chagall una interpretazione del paradiso. È il suo dichiarare la forza del legame che lo stringe alla moglie, Bella. La prima volta in cui ha visto Bella, era stato come se la finestra si fosse spalancata per lasciar entrare l’azzurro del cielo, l’aria pulita e il profumo dei fiori: una sensazione di grande profondità. È lui che lo racconta e dalle opere non si stenta a credergli. Per quanto riguarda la coppia, la mostra finisce proprio con due opere che ritraggono scene di matrimonio. Una, Nozze sotto il baldacchino, riprende la tradizione ebraica, che per significava una unione spirituale altissima, un modo per essere più forte. Per lui l’amore era la forza che ci aiuta a superare le difficoltà della vita. Come amava dire: Il sentimento amoroso è quello che dà senso all’arte come da senso alla vita».
Alcuni quadri ritraggono soltanto fiori.
«Chagall ha sempre dipinto fiori. Come detto, il primo quadro in ordine cronologico presente nella mostra rappresenta una brocca colma di fiori. Poi ci sono altri mazzi di fiori datati 1930, 1970 e poi negli anni Ottanta. Lui dipinge sempre mazzi di fiori. A volte la coppia è il motivo principale dell’opera ma a fianco ci sono sempre i fiori. Basta pensare a Le reve, dove la coppia si bacia sotto un grande mazzo di fiori. Oppure come in Grand bouquet rouge, del 1975, dove lo spazio è nuovamente occupato quasi interamente dai fiori, ma in un angolo ecco apparire anche una coppia. Lui diceva che l’arte trova come imitare e migliorare la natura, ma che questo è impossibile con i fiori».