IN BREVE Cosa: Chesil Beach, una recensione Quando: in sala dal 15 novembre 2018 Regia: Dominic Cooke Interpreti: Billy Howle, Saoirse Ronan
Tutto accade sulla spiaggia sassosa di Chesil. A essere pignoli, il meglio di quanto possiamo ammirare in Chesil Beach, prima regia cinematografica di Dominic Cooke, avviene fra le quattro pareti di una stanza d’albergo a Chesil Beach, inesistente località rivierasca anglosassone. Quanto accade sulla spiaggia fra i due novelli sposi, Edward Mayhew e Florence Ponting, è al più una postilla, lo spazio bianco fra o la sottolineatura della constatazione “Troppo presto”. In quella camera d’albergo Edward (Billy Howle) e Florence (Saoirse Ronan) dovrebbero consumare le loro nozze, dopo il rito.
Adattamento orchestrato per il cinema da Ian McEwan del suo omonimo romanzo (breve), pubblicato in Italia nel 2007, la pellicola soffre non tanto di un impianto teatrale che denuncia i trascorsi di Cooke, ma molto di una bipartizione squilibrata per il posizionamento di temi e tensioni. I due protagonisti di Chesil Beach, sono alla soglia di un passo importante quale il primo incontro sessuale, che li vede certamente imbranati, ma soprattutto ancora alle prese con alcuni loro fantasmi morali ed esperienziali. Sono carichi di pulsioni contraddittorie che li ottundono e non permettono loro di ascoltarsi veramente. Ed è questo che attrae nel vederli alle prese con titubanze, reticenze, paure e altro ancora, mentre cercano di posporre quello che sarà l’esito della partita. Perché sono bravi figli dei poli estremi di una middle class dai pochi fronzoli, pronti a sopportare e a sacrificarsi. Li si comprende, senza bisogno di averne vissuta un’oncia della stessa esistenza. Inoltre i loro dialoghi balbettanti, le frasi troncate, gli affondi fisici dotati di relativi arretramenti, tutto orchestrato quasi fossero parti di un balletto continuamente punteggiato da flashback necessari a meglio comprenderne la vita, si muovono fra il grottesco e il sentimentale producendo nello spettatore (che viene reso partecipe di avvenimenti che i due si sono ancora nascosti) un sentimento di empatia. Però il sentimento si dissolve appena l’atto da compiere si presenta e fa esplodere proprio il non detto presente nella coppia.
Edward e Florence sono due giovani inglesi nel 1962, cioè alle soglie di una rivoluzione culturale che muove incerta verso il mondo, proprio come loro. Fra rinnovamento e tradizione, quindi. Fra una società che è stata partecipe di grandi stravolgimenti epocali, restando però fortemente legata alle tradizioni, e un’altra, nascente, che vuole altro: più libertà, soprattutto.
Loro due percepiscono questo profumo che inizia a spandersi per l’aria, ma sono ancora legati a qualcosa che sta morendo eppure li possiede. E quando tutto questo dovrebbe diventare elemento di un discorso amoroso, frammento di un legame nuovo, di nuovi patti, quando si dovrebbe fare elemento necessario al darsi tempo per capirsi e rodare l’unione, ecco che McEwan, qui inteso come sceneggiatore, decide che il loro tempo è finito. Decide che è tempo di far esplodere il dramma delle loro contraddizioni, rendendolo però un petardo bagnato.
Inevitabilmente la seconda parte della pellicola ne esce con le ossa rotte. Accade appena Howle e Ronan, a pochi minuti una dall’altro, si proiettano sulla spiaggia e si confrontano apertamente.
Da Kammerspiele a fuffa il passo si compie velocemente, grazie anche all’aggiunta di flashforward inutili, dove si servono elementi cronologicamente successivi a quanto avviene a Chesil, abbellimenti che appesantiscono e nulla aggiungono al rapporto dei due giovani sposi. Una pesante salsa mélo sfigura tutto il lavoro orchestrato in precedenza. E questo sarebbe ancora accettabile se non si ricorresse al truce espediente del rimpianto, giocando su una promessa mantenuta oramai fuori tempo massimo. È tutto un rimpasto di luoghi comuni, il secondo tempo di Chesil Beach. Non riesce ad accontentare lo spettatore digiuno del romanzo e men che meno chi ha apprezzato l’opera letteraria – minore quanto si vuole però dall’ottima architettura, creata da McEwan. Se si pensa che lo scollamento fra le due forme di narrazione nasce della stessa mano, beh, sarebbe interessante capirne il perché.
Resta comunque la perfezione matematica della prima parte, di una storia intima che nell’intimità avrebbe dovuto nascere, crescere e finire così da restituire al meglio il soffio di un’epoca e dei suoi personaggi. Quasi un manualetto imprescindibile di messa in scena. Questo al netto di due interpretazioni attoriali buone ma non entusiasmanti, da leggere probabilmente anch’esse alla luce della seconda parte che, alla fin fine, si potrebbe definire “mortificante”.
La spiaggia di Chesil vale comunque un biglietto da seconda visione o un passaggio nel vostro lettore dvd. Non resterà nella mente né in una collezione di pellicole del nuovo millennio, però, chissà…