Guido Buzzelli: un lucido moralista, a fumetti

Una mostra e un libro per raccontare opera e pensiero di Buzzelli, padre putativo del graphic novel.

>> Cosa: mostra Guido Buzzelli. Anatomia delle macerie Dove: Accademia di Belle Arti di Bologna, via delle Belle Arti, 54 Quando: 22 -25 novembre 2018 Orari: n.i. Costo: gratis Info: bilbolbul.net

>> Cosa: recensione Autore: Guido Buzzelli Titolo: La trilogia Chi: Coconino press-Fandango

Definire Guido Buzzelli “il Michelangelo dei mostri” è cosa giusta quanto parziale. Ma per arrivare a dichiarare questo, bisogna chiedersi chi è Guido Buzzelli.

Oggi il suo nome non risuona nelle cattedrali del fumetto come molti dei suoi contemporanei. Eppure questo romano, pittore figurativo nipote di un decoratore, figlio di un pittore e di una modella, transitato nel mondo dell’illustrazione grazie a Rino Albertarelli e da lì al mondo del fumetto, per poi tornare senza soluzione di continuità a frequentare i mondi precedenti, è forse uno degli esempi più forti del come si può lasciare un segno persino scostante, sempre significativo, nel campo della Nona arte. Un segno indubbiamente critico nei confronti della società – non solo quella dei consumi, bensì tutta quella occidentale – con il suo desiderio arrembante di modernità.

La mostra Guido Buzzelli. Anatomia delle macerie, aperta fino al 25 novembre presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna dà una significativa dimostrazione di questo muoversi nel fumetto come autore “adulto per adulti”, con una attenzione politica alla narrazione.

Realizzata in collaborazione con la casa editrice Coconino Press-Fandango e la stessa Accademia di Belle Arti, la mostra declina attraverso 150 tavole il pensiero e l’attitudine visionario-moralista di questo Maestro, segnando la prima apparizione di BilBOlBul 2018, festival internazionale del fumetto, che andrà in scena dal 22 al 25 novembre prossimi, a Bologna.

È un’arte visionaria, quella che risalta dai lavori di Buzzelli, applicata ai testi come ai corpi e agli scenari carichi di macerie post-apocalittiche, e di estrema concretezza. Non è un gioco di parole. L’artista vi ha lavorato per metafora e simbolo, usando il grottesco come arma di disvelamento di vizi e peccati della massa tutta. In realtà quello che si proietta fuori dalle tavole, ha dell’assurdo solo per chi non legge oltre la superficie.

Se volete arrivare preparati all’appuntamento con le tavole, i bozzetti e i disegni presenti in Anatomia delle macerie e contenere quel seme di fastidio che ancora oggi danno con il loro personale spettacolo della crudeltà, il suggerimento è di leggere l’unico volume a ora disponibile di questo autore.

Uno degli ultimi lasciti di Igor in seno a Coconino press, riguarda proprio la ristampa di una fondamentale trilogia composta da Guido Buzzelli fra il 1966 e il 1971.

Nel 2017 va alle stampe per Coconino press-Fandango appunto La trilogia, contenente La rivolta dei Racchi (1966-1967), I labirinti (1971), Zil Zelub (1972).
Un capolavoro di libro, tra capolavori di storie. Anche perché è da queste pagine, in epoca non sospetta, che per l’Italia nasce la graphic novel. È Buzzelli che, ante-litteram, crea da noi il racconto lungo, a fumetti sì, ma autoriale. Un modo di fare “narrazione a vignette” che in precedenza si incontra meticcio nel solo fumetto seriale (vedi Tex) e che Buzzelli, senza il supporto di sceneggiatori, trasporta sul terreno del surreale, del grottesco, della critica sociale, innervandolo con uno sguardo politico evidente, dichiarato. Porta cioè per primo una idea fino allora per ragazzi, al livello di complessità superiore.

La mostra, visitabile presso l’aula magna dell’Accademia, propone i temi chiave di questo artista, quali il corpo, la società e il potere, il diavolo, le macerie, l’artista come personaggio centrale e autobiografico. Elementi onnipresenti nei lavori di Buzzelli, chiaramente visibili ne La trilogia, dove sono distese in maniera ossessiva e, potremmo dire, pedissequa davanti agli occhi del lettore. Quello che si incontra nelle tavole delle tre storie è una sorta di apocalisse perenne, di visione del disfacimento morale e sociale nel momento in cui la società italiana entra nel periodo del boom economico, muovendosi verso un benessere generalizzato.

Se ne dica quel che si vuole, però la sua stigmatizzazione della società è molto vicina a quella di Pier Paolo Pasolini, che era sì da Grande Conservatore, ma anche lucidamente marxista verso il nuovo che avanzava.

Buzzelli non è stato tanto “il Michelangelo dei mostri”, come lo definì il critico e giornalista francese Michel Grisolia, quanto un moralista visionario, capace di vedere dentro l’orrore di una Apocalisse moderna prossima ventura. Un Hieronymus Bosch italiano verrebbe da dire, capace di usare meravigliosamente un tratto naturalistico per portarlo alla sua scomposizione, alla dichiarazione della deformità interiore di ogni essere umano, voluta o cercata. Un pessimista e un cinico, insomma. E come tutti i suoi simili capace di comprendere come non esistesse alcun settore in cui il Bene sopravanzava il Male.

Nelle sue opere compare sempre qualcosa definibile come una “nota stonata”, un errore umano, che diventa fatalmente fatale, se passa la battuta.

Lo è ne La rivolta dei Racchi, cronaca di come può fallire una Rivoluzione nata dal basso e come il Potere sappia quanto e quando è necessario distribuire oppio al popolo.

Lo è ne I labirinti, dove la Sfera asettica, regolata da un dettato paracomunista per cui “non è ammesso il diritto di proprietà esclusivo su cose o persone”, rischia sempre di esplodere per una distrazione, per il più piccolo degli errori umani.

 In Zil Zelub, no. Qui Buzzelli parte da un corpo impazzito, dagli arti che non vogliono più saperne di stare insieme, di cooperare. A farne le spese, il violoncellista Zil Zelub (anagramma di Buzzelli). L’artista non riesce a governare il centro motore della sua autonomia e per questo, oltre che per i raggiri di politici e maneggioni, perde totalmente la ragione. Il morbo pestilenziale è qualcosa di parallelo, dovuto a grandi uccelli in plastica dalle orbite vuote e al loro fetore, che ammorba la città. Sono lo scarto della lavorazione della plastica, che inquina l’ambiente da parte di chi (tutti) inganna e illude Zelub. Sono creature che annunciano un’apocalisse, non ne raccontano l’accadere. Con loro il musicista sarà obbligato a convivere, nella certezza di essere in uno dei suoi tanti incubi.

La nota stonata in Zil Zelub è il rendersi conto che alla cittadinanza non importa nulla di come andrà a finire il dramma, che la polverina magica de La rivolta dei Racchi circola di già, che gli uccelli di plastica ora son buoni, mentre non lo è l’uomo in pezzi. Come lo chiameremmo oggi tutto ciò? Credulità, forse.

Buzzelli però non salva nessuno, nemmeno se stesso. Non ha pietà perché vede in ognuno dei suoi personaggi la propensione a mostrare pervicacemente il peggio di sé. Lui per primo. Ritraendosi come il protagonista principale delle storie de La trilogia (sotto aspetti relativamente più o meno realistici), si riconosce come colpevole. Colpevolmente umano, forse troppo umano. Perciò insalvabile.