In sala dal 13 aprile, il terzo lungometraggio di Francesco Amato va verso la commedia sofisticata, ma non toglie il freno alla storia e a Servillo
Cosa: Lasciati Andare, recensione
Quando: al cinema dal 13 aprile 2017
Regia: Francesco Amato
Interpreti: Toni Servillo, Verónica Echegui, Carla Signoris, Luca Marinelli, Pietro Sermonti
di Sergio Rotino
A seconda di dove si metta l’accento, Lasciati andare suggerisce un paio di opzioni. O siamo nel campo dell’esortazione oppure in quello della constatazione. In uscita il 13 aprile, la terza prova registica sulla lunga distanza del giovane regista…
In sala dal 13 aprile, il terzo lungometraggio di Francesco Amato va verso la commedia sofisticata, ma non toglie il freno alla storia e a Servillo
IN BREVE Cosa: Lasciati Andare, recensione Quando: al cinema dal 13 aprile 2017 Regia: Francesco Amato Interpreti: Toni Servillo, Verónica Echegui, Carla Signoris, Luca Marinelli, Pietro Sermonti
di Sergio Rotino
A seconda di dove si metta l’accento, Lasciati Andare suggerisce un paio di opzioni. O siamo nel campo dell’esortazione oppure in quello della constatazione. In uscita il 13 aprile, la terza prova registica sulla lunga distanza del giovane regista Francesco Amato, che a Bologna ha frequentato il Dams, utilizza senza ombra di dubbio la prima delle due. «Il lasciarsi andare come lo intendo io» ha affermato nell’anteprima bolognese di SalaBio, «è proprio questo trovare l’occasione di perdere un po’ il controllo e lasciar trasparire la parte di sé più divertente, più folle». Indicazione che il film rivolge, attraverso l’improbabile personal trainer interpretato dalla giovane Verónica Echegui, a Toni Servillo, qui nei panni di uno psicologo (il più bravo sulla piazza) avaro, accidioso, a suo modo ingessato. È lui che troviamo nei panni di Elia Venezia, personaggio attorno a cui ruota la storia, ebreo romano altoborghese, separato ma convivente porta a porta con la sua ex moglie (una Carla Signoris con poco spazio di manovra). Finalmente libero dalle facce e dalle posture sorrentiniane, Servillo pesca dal repertorio attoriale, giocando di leggerezza e di reattività.
Già questo basterebbe per staccare un biglietto e immergersi nel buio della sala cinematografica, sapendo comunque a cosa si va incontro. Perché la curiosità di vedere un Servillo quasi umano, va a stemperarsi obbligatoriamente nelle pieghe di una commedia che prova a mantenere il controllo su sceneggiatura, messa in scena e recitazione, per evitare di uscire dall’alveo che si è scelto. Amato compone con Lasciati Andare una commedia non all’italiana – una via di mezzo fra un certo Woody Allen e quel cinema americano sofisticato di cui si sono perse le tracce – dove la battuta salace viene trattata con acqua di Sirmione per non farla diventare mai feroce. Ecco allora che, pur accettando l’improbabilità delle situazioni proposte, nella pellicola si avverte il timore di azzardare una soluzione meno garbata, meno felpata di quelle messe in quadro. I cugini d’oltralpe, specialisti nel settore, paiono così solo occhieggiare da dietro le quinte.
Niente di disdicevole, sia chiaro. Anzi tutto all’interno di una regola aurea, visto che i riferimenti scatologici mancano, quelli sessuali vengono tenuti al minimo sindacale e così per le parolacce posizionate dove e a chi servono. Regola aurea che si attaglia anche all’intero cast, pronto a mettersi al servizio della macchina da presa e del testo, per una o per dieci pose. Insomma, ci si immerge in una pellicola ben curata, ma senza altra pretesa che l’esser gradevole, cortese. È forse per questo che, pur cercando la via della battuta non troppo risaputa, della situazione comica non troppo vista, evitando la pochade e il pecoreccio, Lasciati Andare non mantiene del tutto le promesse. Come per l’inseguimento attraverso Roma con annesso riferimento alla slapstick comedy: un ripararsi in luogo sicuro per sciogliere la situazione. O il mantenere alcuni giovani attori del nostro cinema dentro gestualità e abiti già usurati, banalizzandone le capacità interpretative (petizione subito: basta far fare il coatto a Luca Marinelli).
Nell’anteprima di SalaBio, che bisogna sempre ringraziare per il suo lavoro di proposta fra cinema alto e cinema commerciale di buone finiture, il pubblico non ha percepito quanto detto sopra. Ha invece molto gradito, lasciandosi andare più di una volta a risate e applaudendo l’autore con cordialità. Il che non è poco, se rivolto a un regista giovane. Basta però a non far bruciare la pellicola, mettendola in parallelo con l’oceano di prodotti extra nazionali della stessa grana? No, certo. Però, almeno in parte, aiuta a non farla morire.
Voto: 3 su 5