IN BREVE Cosa: Gimme Danger, recensione Quando: 21 e 22 febbraio 2017 Protagonisti: Iggy Pop, Ron Asheton, Scott Asheton, Dave Alexander, Jim Ostenberg, James Williamson Regia: Jim Jarmusch
Al cinema è una serata speciale, costa dieci euro. È speciale perché costa dieci euro. Costano di più, e non ci sono possibilità di riduzioni, le proiezioni di film aggressivamente mainstream, dagli Star Wars in giù, per identificare in questo modo la potenza dell’evento. Stesso destino per le proiezioni che hanno una distribuzione limitata a un paio di giorni, perché sono cose molto ricercate, per un pubblico motivato che in questo modo sostiene lo sforzo di portare in sala, seppure per poco, titoli che altrimenti le sale italiane non le vedrebbero. In un futuro prossimo il prezzo normale sarà solo per i film normali, con registi e attori normali, in un futuro prossimo il prezzo normale sarà solo per i film con Colin Firth.
Andiamo a Gimme Danger, un documentario indirizzato ai fan degli Stooges e a quelli di Jim Jarmusch (ancora in sala il bellissimo Paterson). Io faccio parte dei secondi, ma a poter essere davvero contenti – e neanche con assoluta certezza – potranno essere i primi, che potranno deliziarsi del lungo racconto di Iggy Pop. L’Iguana, che quest’anno ne compie settanta, è seduta su un trono, con la faccia conciata di sempre, le vene delle braccia in rilievo, i piedi nudi e le dita disidratate delle mani che intrecciano quelle dei piedi. Oppure è seduta su una più umile sedia, dietro di lui s’intravede una lavatrice e dei panni, una lavatrice come quella che faceva da sfondo alle interviste a Neil Young in Year of the Horse. Non credevo che l’avrei ritrovata, mi era già sembrata un grumo di minimalismo un po’ forzato. Invece rieccola, deve significare qualcosa, questo associare il rock alla pulizia dei propri abiti, alla centrifuga, a un elettrodomestico bianco di forma parallelepipedale, ma non saprei dire cosa con apprezzabile certezza. Iggy racconta, snocciola aneddoti, sulla sua gioventù, sulle prime band, la passione per la batteria, l’incontro con quelli che saranno gli Stooges, la vita da comunista, perché condotta in una comune con i soldi in comune, la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70 nella sua interpretazione piuttosto materiale e disincantata, e un mucchio di altre cose. I primi concerti, le droghe, gli scioglimenti e le riunioni della band, naturalmente.
Il film prende una forma piuttosto canonica, con i frammenti di intervista mescolati a immagini e brevi filmati d’archivio, agli incontri con altri membri del gruppo. Mentre il batterista Scott Asheton appare spiritualmente dislocato in un tempo che non è precisamente quello presenziato dal suo corpo, un cenno particolare lo merita il chitarrista James Williamson. Sembra essere l’unico a cui tutto accade naturalmente, senza conseguenze considerevoli: splendida e trasgressiva icona rock, quando il suo ruolo è quello, nel 1975 diventa un perfetto ingegnere elettronico. Elegantemente imbolsito nei suoi lineamenti e nella consistenza peculiarmente americani, dopo essere andato in pensione alla Sony torna sul palco con Iggynegli inoltrati anni 2000. Ed è bello pensare a questo ingegnere abbastanza anziano, abbastanza in pensione, da poter tornare a fare rock pesante, cattivo, teatrale.
Al centro di Gimme Danger c’è il racconto, non la musica. Così, con l’eccezione dei titoli di coda, non si ascolta mai un pezzo per intero. Ci sono riff, cenni di testi e di performance, che si interrompono dopo alcuni secondi, per dare spazio ad altri aneddoti e poi ad altri pezzi di canzoni. Ho trovato, questo, piuttosto limitante e, alla lunga, frastornante. Mi sta bene l’epica, ma avrei preferito assistere anche alla musica. Contribuiscono alla visualizzazione del racconto delle ricostruzioni animate, non lontane dallo stile del pythoniano A Liar’s Autobiography, e il montaggio di decine di riferimenti esterni. Spesso richiamati dal regista in maniera pedissequa e didascalica: si pronuncia Famiglia Addams, film anni ’50, Tre Stooges, salto nel vuoto? Li si vedrà immediatamente materializzare sullo schermo, in un montaggio frammentario e sincopato che è solitamente quanto di più lontano dallo stile di Jarmusch. Il film è un accorato omaggio di un fan alla rockstar con cui aveva già avuto modo di lavorare in Coffee and Cigarette e Dead Man. Prosegue in questo modo per poco meno di due ore, elencando le band influenzate dallo sperimentalismo degli Stooges e senza mai nominare, d’altra parte, correnti come il punk o la scena indipendente, se non per affermare di non farne parte. Gimme Danger racconta una storia a sé, un personaggio che si è guadagnato il diritto ad alzare entrambi i medi in direzione del resto del mondo, e non si fa scrupolo ad esercitarlo. La notte dopo la visione, il sonno è stato un gran frastuono, circolare, primitivo, ossessivo. In questo, probabilmente, il film è arrivato dove voleva.
Voto: 3 su 5