La recensione di “Austerità”, primo lavoro di studio del duo
Cosa: Recensione di “Austerità”, di Max Collini e Jukka Reverberi, anche noti come Spartiti
Info: Spartiti, Woodworm Label
di Andrea Marino
“Io sono quello che non ce la faccio”. Inizia così “Austerità”, il nuovo disco di Max Collini – non più Offlaga Disco Pax, dopo la prematura scomparsa di Enrico Fontanelli – in collaborazione con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò…
La recensione di “Austerità”, primo lavoro di studio del duo
IN BREVE Cosa: Recensione di “Austerità”, di Max Collini e Jukka Reverberi, anche noti come Spartiti Info: Spartiti, Woodworm Label
di Andrea Marino
“Io sono quello che non ce la faccio”. Inizia così “Austerità”, il nuovo disco di Max Collini – non più Offlaga Disco Pax, dopo la prematura scomparsa di Enrico Fontanelli – in collaborazione con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò. Un duo denominato Spartiti che l’undici marzo ha rilasciato il primo lavoro di studio.
Con le parole di Bassotuba di Paolo Nori prende le mosse un racconto eterogeneo eppure unitario dove le diverse provenienze dei testi – sono diversi i brani che riprendono altri autori – sono tessute insieme dalla schiacciante forza narrativa della voce di Collini e dalle musiche di Reverberi.
Crepuscolare nell’attacco e nell’immediato prosieguo, “Austerità”, brano che dà il nome al disco. “Prendi quello che vuoi, oggi puoi avere quello che vuoi”. Il consumismo e il comunismo sono i temi cardine di questo lavoro che trova però la sua concretezza e il suo fascino nella sensibilità di Collini, schietto nel descrivere un disincanto imposto da altri piuttosto che maturato, come avviene in “Babbo Natale”.
Palese l’origine teatrale dell’album, che nasce da letture musicate portate nei teatri d’Italia per due anni. Al quarto brano, “Sendero Luminoso”, il contributo di Jukka Reverberi si innalza, reclamando maggiore attenzione. Aveva già dato segni di non essere un tappeto sonoro su cui far giocare Collini, e qui il crescendo del brano deve molto al suo lavoro. Il modo migliore per descrivere questo pezzo, scritto dal nostro con Arturo Bertoldi nel 1986, è senza dubbio quello del comunicato stampa: “Una trollata memorabile con trent’anni di anticipo, al termine della quale anche voi urlerete convinti ‘Ai machete, Compagni!’. Nei paradossi del furore ideologico del Compagno Gonzalo ci sono perfino alcune verità: i partiti maoisti citati sono tutti realmente esistiti e uno di essi, quello nepalese, è addirittura andato al potere di recente. Nessuna notizia invece del Sarbedaran, il partito comunista persiano che nel 1982 cercò di fare la rivoluzione rovesciando armi in pugno (!) il regime sciita dell’ayatollah Khomeini (!!) per instaurare, in Iran (!!!), il Socialismo (!!!!). Velleitari, ma giusti. Vennero sterminati.”
L’umorismo presente quasi sempre nelle situazioni tragiche, come in quelle normali, che in qualche modo tendono al ridicolo, è forse il vero filo conduttore della produzione di Collini. Così è “Vera”, un brano lynchiano, che sa delle musiche di Angelo Badalamenti per Twin Peaks, oltre che di grottesco e dello Zanardi di Andrea Pazienza.
Come a voler smorzare, il disco va avanti con uno dei brani più poetici e anche tristi del disco, “Bagliore”. Un tono più drammatico che fa coppia con la chiusura, “Ti aspetto”, con un testo tratto da “Stanza 411” di Simona Vinci. Tra le due, “Banca locale”, splendido racconto trip hop sulle banche “dal lato giusto della barricata”, e “Nuova Betlemme” su Basilio Albrisio, medico di Reggio Emilia che venne processato dall’inquisizione.
La nuova incarnazione di Collini, che parte dal teatro per arricchirsi progressivamente di musica, fino a diventare musica, è probabilmente la più onesta, la più efficace.
Segnaliamo che il duo è da poco passato a Bologna con due concerti andati esauriti al Teatro del Navile. La prossima data vicina è quella di sabato 23 aprile all’Off di Modena.