IN BREVE Chi: Andrea Bruno Cosa: installazione su Cinema Zenit e seconda parte del graphic novel omonimo Quando: fino al 29 novembre 2015, dalle 17 alle 20.30 Dove: via Indipendenza 71/Z, Bologna Costo: gratis
Fra i lasciti espositivi dell’edizione 2015 di BilBOlBul, uno di quelli con vita più breve per ragioni logistiche è l’installazione dedicata a Cinema Zenit.
La si potrà infatti visitare fino alla fine di questa settimana, quindi entro il 29 novembre dalle 17 alle 20.30 sotto la scalinata del Pincio, via Indipendenza 71/Z, negli spazi che furono destinati ai rifugi antiaerei e che ora ospitano Dynamo – La velostazione di Bologna.
Realizzata da Andrea Bruno in collaborazione con Maria Elena Morganti, Nicola Barzanti e la Scuola di scenografia e allestimenti dell’Accademia delle Belle arti di Bologna, l’installazione rimanda all’opera omonima, ancora in progress (siamo infatti al secondo volume di tre), che l’autore di origine catanese sta pubblicando per le Edizioni Canicola. Ma l’omonimia resta circoscritta a questo richiamo, quanto il visitatore si troverà davanti ha più a vedere con l’essenza intrinseca dell’opera.
Nei cunicoli bui dei rifugi infatti non si troveranno le tavole che compongono la storia fin qui pubblicata, ma un percorso interiore capace di percorrerla offrendo al visitatore tutta una serie di elementi fondativi, di motivazioni, presenti nelle tavole in rigoroso bianco e nero. Già questa scelta indica la dimensione “coloristica” che meglio si addice all’universo narrativo di Bruno composto da una notevole quantità di simboli, che si frammischiano ad altri nelle tavole del fumetto. «Mi affascina creare un mondo atemporale, dove i riferimenti alla storia, a epoche differenti, si mescolano in modo inspiegabile» ha dichiarato l’autore. Tutto ciò dà corpo non tanto a una storia di avventure classicamente intesa, ma a un raccontare, un rendere visibili strati successivi di inconscio. «Per me è molto importante l’ambientazione» ha detto Bruno, «il fatto che si sia dentro un mondo scuro, incomprensibile, decisamente in rovina».
Già nel primo volume di Cinema Zenit, uscito nel 2014, l’impressione era di trovarsi completamente immersi in un universo molto simile a quello proposto dal regista Tarsem Singh in The cell, ma con meno sovrastrutture necessarie a rendere coeso il plot. Sicuramente cancellando la magniloquenza retorica della messa in scena. Impressione che permane anche in questo secondo capitolo. Non a caso Bruno, partito dall’idea di lavorare sulla figura dello straniero, impersonato dal personaggio di Anna, si è concentrato sulla sensazione di smarrimento che le è compagna lungo il corso della vicenda.
L’idea che tutto rimandi a un lato inconscio, e che esso sia l’unica indicazione cui affidarsi, torna perciò prepotentemente nell’installazione. Le sonorizzazioni di Domenico Vaccaro, in parallelo con le immagini proiettate e gli enormi disegni affissi alle pareti, recitano per suggestioni proprio quanto compare in modo relativamente più limpido nei (per ora due albi) formato A6 di Cinema Zenit.
Le atmosfere cupe, a tratti irrisolte delle tavole (ma irrisolvibili per loro natura, verrebbe da dire), sono perfettamente ritrasmesse nel percorso sotterraneo dell’istallazione, che consegna al visitatore almeno tre momenti apicali. Il primo è dato a inizio percorso, quando ci si trova davanti all’intrico di “bastoni” (motivo ricorrente del fumetto) da attraversare a mo’ di foresta. Il secondo è la proiezione di immagini in bianco e nero nella terza stazione del percorso che offrono soggetti eterogenei in rimando a quanto appare nelle tavole del lavoro grafico e permettono collegamenti a livello mnestico remoto. Tranne che nel caso di una catasta di legna da ardere, cui sembra rifarsi l’idea dei bastoni. Il terzo è lo strappo nella tela della proiezione posta in chiusura di installazione. Bisogna spiarvi dentro, attraversare quel velo. Solo così, sembra dire l’autore, è possibile entrare nel Cinema Zenit e assistere alla sua proiezione, comprendendo che si sta guardando se stessi. Quindi i vari momenti espositivi sono la teorizzazione del come ogni singolo spettatore guardi l’opera da un unico, possibile punto di vista. Posizione da cui può permettersi di interpretarla e personificarla.
Dentro se non oltre lo schermo vi è la realtà vera, quella che l’esterno nega tramutandola in una interminabile guerra civile. Dentro se non oltre, vi è lo spazio delle storie insieme al loro terreno di coltura.
Ma questa è solo una delle possibili spiegazioni.
Se si legge Cinema Zenit, disegno e parole, ci si rende conto di come qui, rispetto al graphic novel Come le strisce che lasciano gli aerei (Coconino press, 2012) che aveva visto Bruno lavorare sulla sceneggiatura di Vasco Brondi e approcciarsi al colore, le tavole spingano il lettore a dare una personale traduzione del quanto avviene ai personaggi e al racconto tutto. Però nel far questo, nel dare una motivazione alla storia, gli si apre davanti un labirinto di rimandi ciechi per quanto plausibili. L’installazione allora non fa che spostare su altra forma il contenuto del fumetto.
Verrebbe da dire che come era per il primo albo così è per Cinema Zenit/2 (pp. 32, € 16). Entrare cioè nei bianchi che si scavano faticosamente spazi fra le enormi masse di nero, dentro le esplosioni di neri densi e magmatici che sono nutrimento e droga (il latte nero), dentro le ellissi narrative, comporta l’esplorazione incondizionata di un universo sì distopico, ma soprattutto profondo e sconosciuto nella sua quasi interezza. È l’universo dell’autore, dell’artista prima di tutto, capace di raccontare la sua verità attraverso l’inconscio. Da lì è capace di vedere come varia in intensità la compattezza del buio, di andare oltre il dissolvimento e le macerie della certezza. Così proprio il latte nero, che appare in alcuni passaggi di Cinema Zenit, può essere letto in senso figurato come l’autore che beve l’inchiostro per procurarsi visioni del futuro, di un possibile futuro. Il mistero, l’avventura per il lettore stanno nel berlo con lui, nel procedere con lui verso il cosa si nasconda al di là, appunto, nell’aguzzare lo sguardo, nello sfondare la quarta parete, nel lasciarsi guidare, nel meravigliarsi. Compito che il fumetto migliore porta avanti da sempre.