A Bologna fino a domenica 10 maggio un mondo di film in cui perdersi e ritrovarsi
Cosa: Future Film Festival 2015, recensione di Tokyo Tribe, The Road Called Life e Song of the Sea
Quando: FFF da martedì 5 a domenica 10 maggio 2015
Dove: Cinema Lumière, via Azzo Gardino 65, Bologna
di Giuseppe Marino
Procede sicuro il Future Film festival di Bologna, ancora una volta baciato dalla bellezza delle sale piene. L’ispirazione del Future Film, destinato all’escursione in tecniche, campi, generi estremamente differenti, fa sì che la sua proposta sia sempre varia, eclettica, eterogenea, in una parola vivace. Ed è il suo bello.
A Bologna fino a domenica 10 maggio un mondo di film in cui perdersi e ritrovarsi
IN BREVE Cosa: Future Film Festival 2015, recensione di Tokyo Tribe, The Road Called Life e Song of the Sea Quando: FFF da martedì 5 a domenica 10 maggio 2015 Dove: Cinema Lumière, via Azzo Gardino 65, Bologna Info: http://www.futurefilmfestival.org/
di Giuseppe Marino
Procede sicuro il Future Film festival di Bologna, ancora una volta baciato dalla bellezza delle sale piene. L’ispirazione del Future Film, destinato all’escursione in tecniche, campi, generi estremamente differenti, fa sì che la sua proposta sia sempre varia, eclettica, eterogenea, in una parola vivace. Ed è il suo bello.
Di Follie Notturne si tratta con Tokyo Tribe, ultimo lavoro del giapponese Sion Sono. E la follia nella pellicola di certo non manca. Tratto dal manga Tokyo Tribe II, in due ore il film ci porta in una Tokyo futurista e immaginifica, decadente ed eccessiva, divisa fra gang rivali che si combattono con ogni genere d’armi. Il tutto supportato da onnipresenti ritmi e canzoni hip hop, eseguite dai protagonisti in ogni momento della visione. Se nella scarna sinossi è facile scorgere una traccia narrativa, il film di Sono presto rinnega qualsiasi logica interna, demolendo sistematicamente il senso di ogni scelta o azione. In Tokyo Tribe un fiume ininterrotto di scontri mortali e musica travolge lo spettatore, che assisterà a ingiustificati cambi di prospettiva e di fazioni, a sparizioni di personaggi nel mezzo di una scena, alla totale mancanza di rispetto per la costruzione degli stessi e della loro storia. Lo scopo, evidente e dichiarato, è (di)mostrare l’insensatezza della guerra. Per farlo il film procede per accumulazione, spostandosi in un mondo allegorico e iperbarocco fatto di quadri e colori saturi, corpi nudi, invenzioni che ostentano gusto trash e grottesco – o meglio caricaturale – in una ridondante rappresentazione dell’inferno. L’impatto, in una certa misura, affascina, ma come ogni opera che adoperi sempre lo stesso registro, per quanto questo possa essere d’impatto, senza pause né accenti il risultato sarà monotòno. A parte questo, Tokyo Tribe vive di consueti richiami pop (Arancia Meccanica, I Guerrieri della Notte, Tarantino – anzi no, Bruce Lee) e in alcuni momenti sembrerebbe ricordare il maestro contemporaneo degli eccessi nipponici, quel Takashi Miike che con Izo – che comunque un senso ce l’aveva – aveva già sperimentato un inferno fatto di continui scontri all’ultimo sangue. Il Film di Sono, inoltre, pur ostentando una certa follia concettuale, è invece stranamente pudìco nel mostrare i segni della battaglia: anche se finto ed eccessivo, tutto rimane costantemente fuori campo, da questo punto vista lontanissimo dalle scelte effettivamente radicali, per rimanere con Miike, di un Ichi the Killer.
The Road Called Life, film d’animazione sudcoreano di Ahn Jae-Hoon e Han Hye-Jin, pure era molto atteso. Lo si può rivedere sabato 9 maggio alle 12.15. Gli autori, ad ogni modo, non replicano la sorpresa del bellissimo Green Days – Dinosaur and I, anche questo passato al FFF di qualche anno fa. Le ambizioni sono diverse, infatti The Road Called Life è un film antologico, costituito da tre storie ed episodi diversi, forma che di per sé non favorisce la realizzazione di capolavori. Il tratto d’unione è nella messa in scena di racconti, tradizionali o letterari, legati alla rappresentazione della vita in Corea. Tre toni diversi, che presentano anche diversi tratti e scelte musicali. Il primo episodio è il più poetico, legato alla narrazione orale e tradizionale, visivamente molto bello, immerso in sconfinati campi di fiori bianchi e in un racconto malinconico e sospeso. La vicenda di tre venditori ambulanti e del loro viaggio notturno è certamente la migliore del film. Anche la seconda, legata al mondo rurale, è interessante. Qui il tratto e i colori sono più fumettistici, e il tono ironico. Su una base fatta di ritmata musica “etnica”, la voce fuori campo del protagonista racconta le sue pene d’amore, fondendo la parola col canto e costruendo un’atmosfera felicemente ingenua. Il terzo racconto, tratto da uno scritto del 1924, affronta la vita cittadina e il mondo di chi, come un guidatore di risciò in una città ormai piena di tram, è costretto ad affrontare, con la sua famiglia, un’esistenza di enorme tristezza e povertà. I disegni, sempre accurati, sono qui molto realistici e accompagnati da un jazz blues decisamente più occidentale. ALucky Day, questo il titolo dell’ultimo episodio, spinge fortemente sul melodramma e sconfina ampiamente nel patetismo, per quello che risulta un racconto comunque significativo, ma sicuramente il meno riuscito del trittico.
Infine, una delle gemme più brillati di questa edizione del Future Film Festival: Song of the Sea di Tomm Moore, che sarà in replica sabato alle 16.00. È usuale che la fiaba sia la trasfigurazione di eventi ed elementi realistici, convertiti in un racconto generalmente finalizzato a dare un insegnamento. Song of the Sea ha però un legame anche più forte con la realtà, riportando esplicitamente gli elementi fantastici a un velo, un artefatto che consenta a Ben, il bambino protagonista, di elaborare la storia della sua famiglia e dei suoi affetti. La leggenda irlandese della Selkie, creatura sospesa fra due mondi, capace di trasformarsi in foca o in donna, è l’accesso che utilizza Ben per affrontare la perdita della madre e il rapporto con la sorella minore, Saoirse. Song of the Sea è un’opera fatta di elementi, personaggi e luoghi fantastici rappresentati con grazia e raffinata bellezza. L’estetica, simile al precedente The Secret of Kells, unisce la semplicità delle forme con la ricercatezza delle miniature, i dettagli, le geometrie, i colori pieni e le luci che donano vita a ogni quadro. E ogni incontro e scoperta, nella storia di Ben e Saoirse, è un’immersione nelle loro emozioni, sensazioni che modellano il mondo e i ricordi, per un racconto che avvolge lo spettatore con la sua intensità. Essenziale, per la riuscita del tutto, l’accompagnamento sonoro, musiche, suoni e canzoni che integrano e guidano la narrazione con la stessa dolorosa delicatezza delle immagini.
Lo stesso giorno, dalle 17.30, i bambini (da sette anni in su) avranno l’occasione di partecipare, previa iscrizione, al laboratorio Song of the Sea: anima le foche magiche, organizzato da Future Film Kids.
Segnaliamo, inoltre, il nuovo lungometraggio di Lupin III con protagonista Jigen, LupinIII: Jigen’s Grave Marker, venerdì 8 maggio alle 20.30; l’animazione giapponese di Giovanni’s Island, sabato 9 alle 20.30, e un altro promettente cartoon coreano, The Satellite Girl and Milk Cow, domenica 10 alle 10.00.
Infine, essendo opinione condivisa che delle recensioni cinematografiche senza il sigillo dei voti non abbiano senso, eccoli:
Tokyo Tribe: 3/5 | The Road Called Life: 3,5/5 | Song of the Sea: 4,5/5