IN BREVE Cosa: Logo di Bologna Origine: L’articolo è pubblicato anche sul blog di analisi semiotiche SemioBo, #analyzeit
di Alice Felicani
Ormai è chiaro: quando si deve creare un nuovo brand urbano la pratica più diffusa è indire un concorso, che porta con sé immancabili critiche, come avvenuto per Firenze (leggi per esempio qui). Quest’anno è stata la volta di Bologna, con il Concorso internazionale Bologna City Branding.
L’obiettivo era la realizzazione di un marchio – corredato da payoff – per promuovere la città, rappresentandone alcuni aspetti emersi da una ricerca preventivamente condotta. Si legge nel bando: “Il progetto d’identità deve diventare anche un ‘sigillo di qualità’ per i comportamenti degli attori locali, per le molteplici azioni di promozione e per le numerose gamme di articoli e merci che possono essere prodotte”.
A battere la notevole concorrenza – più di 500 logo proposti – sono stati due grafici di Trieste: Matteo Bartoli e Michele Pastore. Non appena il logo è stato reso pubblico, sui social network sono impazzate le critiche.
È stato definito impersonale e poco rappresentativo della città emiliana. Di certo chi si aspettava i portici, le due torri, i tortellini o il Crescentone sarà rimasto deluso: tutti elementi piuttosto ricorrenti tra le numerose proposte (puoi vederle qui), ma del tutto assenti nel logo vincitore, il cui punto di forza è indubbiamente l’originalità.
Si tratta di un cosiddetto alfabeto grafico, basato su un sistema dinamico e partecipativo: il logo, infatti, ha una matrice a partire dalla quale possono essere generate molte altre forme e molti altri simboli. All’utente basta collegarsi al sito ebologna.it: una piattaforma che gli permette di definire in una parola cosa “è Bologna” per lei/lui. A seconda della parola inserita, poi, il simbolo della città assumerà forme e sfumature di colori differenti a seconda delle lettere che la compongono.
È una concreta rappresentazione della “cooperazione interpretativa” – così come la chiamerebbe Eco – che un testo richiede al proprio lettore, poiché intessuto di spazi bianchi che il destinatario è chiamato a colmare.
Ma quali erano i requisiti richiesti per questo logo?
- flessibilità e versatilità per poter essere utilizzato in diversi contesti e pratiche di promozione
- adattabilità ai diversi media
- originalità e riconoscibilità
- riproducibilità
Ecco che, sulla base di questi criteri, a fronte dell’originalità, emergono diverse criticità. Innanzitutto, si è rivelato non essere così flessibile, versatile e quindi riproducibile: nella versione in bianco e nero, infatti, non solo perde il suo appeal ma tende anche a essere difficilmente distinguibile e leggibile nelle forme.
Di conseguenza, viene a mancare anche l’adattabilità ai diversi media, come nel caso della carta stampata. Ma il difetto che la maggior parte dei critici gli ha attribuito è la non riconoscibilità, ossia il fatto che il turista, per esempio, difficilmente assocerebbe tale logo alla città di Bologna.
Sulla base di quali elementi potrebbe farlo, se non il payoff? Ah bé ma l’hanno fatto apposta – direte voi. Sì, ma un logo è anche fatto per “vivere di vita propria” ed essere un tratto distintivo e identificativo di ciò a cui è associato. Il logo di Bologna dovrebbe avere la forza per essere riconosciuto come tale anche se visto da solo, per esempio in cima a un documento o ai piedi di un cartellone.
Invece, questo brand appare indissolubilmente legato al payoff, visto che senza la scritta “Salaborsa” o “Tortellini” non sarebbe mai riconducibile alla città; senza contare che il logo stesso non verrebbe nemmeno generato.
Personalmente condivido quasi interamente il giudizio della Giuria, fatta eccezione per quest’ultima frase: “Pur nella complessità del concept, il progetto si presenta di facile accesso, utilizzabile da chiunque, di qualsiasi età, genere, cultura”. Uno dei nodi problematici del logo mi sembra proprio il fatto che non sia utilizzabile da tutti gli utenti, in quanto per essere apprezzato nella sua complessità partecipativa, aperta e dinamica, necessita di possibilità e competenze delle quali non tutti sono in possesso.
E per voi cos’“è Bologna”? E, soprattutto, cosa ne pensate di questo logo?
L’articolo è pubblicato anche sul blog di analisi semiotiche SemioBo, #analyzeit