L’ultimo Tarantino in continuità con Inglourious Basterds, un cinema coraggioso che racconta e plasma la storia
Cosa: Django Unchained
Regista: Quentin Tarantino
Quando: sabato 27 luglio 2013 h. 21.45
Dove: Arena Puccini – Via Sebastiano Serlio 25/2 Bologna
Costo: biglietto intero 6 euro, ridotto 4,50
di Giuseppe Marino
Django Unchained è all’Arena Puccini sabato 27 luglio alle 21.45, per chi se lo fosse perso o avesse – comprensibilmente – già voglia di rivederlo….
L’ultimo Tarantino in continuità con Inglourious Basterds, un cinema coraggioso che racconta e plasma la storia
IN BREVE Cosa: Django Unchained Regista: Quentin Tarantino Quando: sabato 27 luglio 2013 h. 21.45 Dove: Arena Puccini – Via Sebastiano Serlio 25/2 Bologna Costo: biglietto intero 6 euro, ridotto 4,50
di Giuseppe Marino
Django Unchained è all’Arena Puccini sabato 27 luglio alle 21.45, per chi se lo fosse perso o avesse – comprensibilmente – già voglia di rivederlo.
“Un film di Quentin Tarantino” è la prima indicazione, prima del titolo, come faceva anche Kubrick con i suoi film. In entrambi i casi non una scelta gratuita, ma il marchio significativo che dalle pellicole si estende a tutto il cinema attorno, alla visione che il pubblico ha dello stesso, al lavoro e le aspirazioni di decine di altri autori.
Django Unchained è decisamente un film di Tarantino – più di altri come Jackie Brown e Grindhouse – ed è un’opera in assoluta continuità con il suo capolavoro (cit.), Bastardi Senza Gloria. Dopo il doppio volume di Kill Bill anche queste due opere, seppure distinte nell’ideazione e realizzazione, sembrano presentare una storia unitaria, declinata in due movimenti che invertono le caratteristiche dei film che raccontano la vendetta di Beatrix Kiddo: più concentrati sui dialoghi detti attorno a un tavolo Basterds e il Volume due, più vicini alle fontane di sangue e al viaggio nella violenza visiva e nello scontro fisico Django e il Volume uno.
Tornando prepotentemente sugli effetti da Grand Guignol e sulla commistione di toni, qui più che altrove Tarantino proclama la serietà del (suo) cinema di genere. E fa un gran lavoro. Per costruire un nuovo e infallibile Chistoph Waltz – il pazzo più misurato della storia recente -, speculare a quello visto nel film precedente. Per trattare come merita l’ambiente del western, genere originario del cinema. Per arricchire ancora il suo postcitazionismo, con un assurdo dibattito sui cappucci da Ku Klux Klan così vicino alle idee dei Monty Python. Per mostrare ancora la sua vena più grottesca, quella che taglia corto con i convenevoli e le raffinatezze.
In mezzo a tutto questo, a un film che è una miniera d’immagini, idee e personaggi, il cuore di Django mostra qualcosa di terribilmente serio, con un coraggio che sarebbe davvero assurdo dare per scontato. La parte centrale del film, in questo senso perfettamente complementare a Bastardi Senza Gloria, è una terribile discesa nell’inferno dei lager, i possedimenti dei padroni che hanno pieno e sadico diritto di vita, morte e tortura sui propri schiavi. Una pagina della storia americana viene restituita al suo orrore, portata in diretta consonanza, per quel che riguarda la disumanità e la ferocia alle sue radici, con la follia nazista. Tarantino ha messo del western in molti dei suoi lavori, e col suo primo western cronologicamente e geograficamente inquadrato completa il suo film sull’ideologia nazista, su una violenza storicamente tanto grande da richiedere ancora un epilogo catartico, reso possibile solo dal diritto alla reinvenzione che il cinema rivendica sulla storia.
Ancora molto si dovrebbe dire: sulle ottime prove di tutti gli attori, oltre Waltz un mutato Samuel L. Jackson, un finalmente cattivo DiCaprio e naturalmente Jamie Foxx; sulla capacità di tenere sempre alta la tensione, qualsiasi sia il registro frequentato dal film; sull’uso delle musiche, come al solito libere, diverse ed essenziali quanto la scrittura e la regia; su come tutto questo, in definitiva, faccia di Django Unchained un film fortemente sbilanciato verso il capolavoro.