Recensione dello spettacolo del Teatro delle Albe sul Pirata, tra racconto e denuncia
Chi: Marco Pantani
Cosa: Spettacolo teatrale
Compagnia: Teatro delle Albe
Regia: Marco Martinelli
di Francesca Bartoli
Ci sono storie che iniziano come le favole. Come la storia di un ragazzo sottile, dalle orecchie grandi, un ragazzo che veniva da un piccolo paese della Romagna, Cesenatico, cresciuto a piadina, ombrelloni e nebbia, con l’orgoglio di una terra strappata prima alla palude e poi all’Adriatico…
Recensione dello spettacolo del Teatro delle Albe sul Pirata, tra racconto e denuncia
IN BREVE Chi: Marco Pantani Cosa: Spettacolo teatrale Compagnia: Teatro delle Albe Regia: Marco Martinelli
di Francesca Bartoli
Ci sono storie che iniziano come le favole. Come la storia di un ragazzo sottile, dalle orecchie grandi, un ragazzo che veniva da un piccolo paese della Romagna, Cesenatico, cresciuto a piadina, ombrelloni e nebbia, con l’orgoglio di una terra strappata prima alla palude e poi all’Adriatico. Un ragazzo che veniva dal mare ma sapeva scalare le montagne come non si era mai visto prima. Piegato su quella bici con la salita di fronte, il piccolo Pirata diventava un gigante.
Ma non sempre le favole hanno un lieto fine, soprattutto in un Italia alla perenne ricerca del capro espiatorio per purificare i propri peccati, per nascondere le proprie colpe. La storia di Marco Pantani, diventato leggenda del ciclismo mondiale a 29 anni vincendo Giro d’Italia e Tour de France infangato da accuse di doping all’apice della sua carriera e morto di overdose a soli 34 anni, è storia del nostro tempo, figlia di quei mass media in mano ai poteri forti, capaci prima di esaltare un uomo e poi di distruggerlo senza pietà, ma anche storia antica, leggenda che sfiora il mito greco della “caduta degli dei”.
Per il primo appuntamento della rassegna teatrale Dei Teatri, della Memoria, nel Giardino della Memoria antistante il Museo per la Memoria di Ustica il 3 luglio è andato in scena Pantani del Teatro delle Albe, sulla figura del ciclista romagnolo, attorno alla quale il regista Marco Martinelli costruisce uno spettacolo che attinge alle radici del teatro greco, dove una folla di persone è chiamata a evocare le memorie dell’eroe e delle sue imprese per affermare un anelito di giustizia. Uno spettacolo con il respiro dell’inchiesta, dove il personaggio del giornalista francese Philippe Brunel, autore del libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani, pone domande senza risposta su quella “macchina del fango”, troppo comoda per il sistema dello sport, che distrusse il campione e mandò a morte l’uomo.
Al centro della scena Tonina e Paolo, i genitori di Marco, affidati a Ermanna Montanari in abito rosso passione, rosso furore, rabbia e sangue, e quella della ricostruzione della memoria, grazie al personaggio del padre Paolo, il roccioso Luigi Dadina. Due figure irriducibili di una Romagna popolare, anarchica, che come Antigone combattono per ridare dignità all’amato. Attorno a loro una selva di altri venti personaggi: coro di voci per raccontare schegge di una vita spezzata. Ci sono Conti e Fontanelli, due ciclisti romagnoli, bravissimi, che sono stati suoi gregari negli anni dei trionfi, c’è la sorella Manola, ci sono altri che sono stati implicati in maniera strana nella sua storia, come il ministro Gasparri o il bandito Vallanzasca. Un affresco familiare e storico, per parlare dell’Italia degli ultimi trent’anni, degli scandali, della mancanza di professionalità, dei giri di denaro, della faciloneria, del “quaquaraquà”, delle sanguisughe medianiche.
Al centro la figura evocata di Marco, radicatissima in Romagna, con il suo modo di essere profondamente orgoglioso, con la sua carica di ribellione, la sua allegria esplosiva da uomo di mare e il silenzio solitario dell’uomo di montagna. Un campione che aveva lottato contro la sfortuna. Un eroe diventato epico attraverso le gesta che entusiasmavano le folle, ma anche un uomo fragile di fronte alla brutalità della stampa, delle chiacchiere.
Sono tre ore e mezza di passione e intelligenza con il ritmo stringente del buon giornalismo e il respiro epico del grande teatro. È uno spettacolo che sale fino alle vette del trionfo sui tornanti delle montagne più irte con gli scatti brucianti e le fughe solitarie di Marco Pantani e poi precipita, seguendo il Pirata, nelle cadute che ne segnarono l’angosciosa, turbinosa, sventurata carriera, dalle montagne di Coppi e Bartali fin verso il mare di una Romagna antica, lontana dagli stereotipi.
Marco Pantani paga con la sua vita e in modo non così differente da quello di Ilaria Alpi, di Federico Aldrovandi e di Ustica. Un filo rosso li lega tutti. Chiuso in un dedalo inestricabile, c’è un mostro che fa paura, un essere fra il bene e il male, fra ciò che appare e ciò che si nasconde. Il “mosto” della storia italiana si chiama verità. C’è un grumo grigio che la copre, un grumo di fango misto a sangue, quello delle stragi, degli omicidi politici, del terrorismo, delle collusioni fra poteri forti, criminalità e affari. E’ il grumo grigio che nasconde la verità e ha reso la nostra democrazia una democrazia incompleta, capace di uccidere anche i propri eroi.