Cronaca del live del 15 luglio al parco della Zucca, fra musica, poesia e impegno civile
Chi: Patti Smith
Cosa: cronaca del live del 15 luglio al parco della Zucca – Bologna
Conoscevo Patti Smith come in molti la conoscono. Per fama piuttosto che per abitudine all’ascolto. Consapevolmente avevo scelto di andare al concerto dello scorso 15 luglio senza prima approfondire la conoscenza dei suoi brani, della sua scrittura, della sua biografia …
Cronaca del live del 15 luglio al parco della Zucca, fra musica, poesia e impegno civile
IN BREVE Chi: Patti Smith Cosa: cronaca del live del 15 luglio al parco della Zucca – Bologna
di Antonio Tirelli
Conoscevo Patti Smith come in molti la conoscono. Per fama piuttosto che per abitudine all’ascolto.
Consapevolmente avevo scelto di andare al concerto dello scorso 15 luglio senza prima approfondire la conoscenza dei suoi brani, della sua scrittura, della sua biografia.
Di solito, scegliere un concerto da ascoltare dal vivo significa scegliere di ascoltare, anzi di vivere quel che già conosciamo. Andare sul sicuro. La maggior parte delle volte il nostro pensiero arriva alla performance già irreggimentato e chiuso nell’idea che ci si è costruiti dell’artista e della sua opera. Desideravo evitare che accadesse.
D’altronde – lo ha scritto il critico musicale del New Yorker Alex Ross – non bisogna aver paura di andare incontro alla musica che non conosciamo, bisogna anzi desiderare il nuovo e l’ignoto. Aver il coraggio di vedere e ascoltare senza essere preparati a farlo.
E dunque: “Vuoi venire al concerto di Patti Smith?”
Dissi di sì, ignorando almeno parzialmente il tenore dello spettacolo al quale avrei assistito.
Scegliendo la mia ignoranza come mezzo per farmi sorprendere.
***
Le mani.
Sono le mani a definire lo spazio e veicolare l’ipnosi e il coinvolgimento.
Non le tiene mai ferme.
I gesti potrebbero essere quelli di uno sciamano, e i miei pensieri, durante le prime due canzoni, si fossilizzano sulla banale considerazione che l’appellativo di sacerdotessa del rock sia la descrizione iconograficamente più efficace per rendere l’idea di quella speciale aura che circonda questa ragazzina di sessantasei anni, viso luminoso e look (apparentemente) dimesso.
La musica ha bisogno di poche o nulle sofisticazioni: è Rock. Punto e Basta.
Suoni conosciuti e nonostante tutto capaci di aggiungere costantemente qualcosa di nuovo a quanto già detto. Suoni necessari, prodotti da una solidissima band nella quale risalta la presenza di un chitarrista al quale Patti Smith è – si vede da come si guardano sul palco –particolarmente affezionata.
Mi spiega un amico che quello non è un musicista qualsiasi. È Lenny Kaye, chitarrista della Smith fin dai primi lavori. Si conosceranno da quarant’anni.
***
A un metro dal palco c’è una ragazza che agita un cartello. A pennarello c’è scritto sopra: GENOVA 2001.
Un’altra persona ne sventola in aria un altro: INGIUSTIZIA E’ FATTA.
La sacerdotessa squadra i due cartelloni. Capisce di cosa si tratta. Allungando la mano verso la ragazza le chiede: “fammi vedere.”
Prende uno fra i due cartelli e lo mostra alla folla che prevedibilmente si esalta, applaude e a volte urla.
Dovrebbe attaccare un altro brano, perché il rock richiede che le pause fra un pezzo e l’altro di una performance siano brevissime, a meno che…
A meno che quelle pause non siano riempite con qualcosa di importante da dire.
Patti Smith sceglie che il suo pubblico parli, impone il silenzio agli strumenti musicali e porge il microfono alla ragazza che inizia a spiegare le intenzioni di quanto ha scritto e mostrato e si scusa per il suo inglese.
“Parla pure in italiano” è la risposta, accompagnata da una precisazione per l’intero pubblico.
I was there.
Io c’ero.
A Genova.
I cinque minuti successivi sono il ricordo del G8, della Diaz, dell’invettiva contro i vertici delle forze di polizia, contro chi pur condannato non è stato rimosso dalle cariche occupate al momento dei disastri del 2001.
Contro chi non ha pagato. E in solidarietà nei confronti dei troppi che hanno pagato in vece di pochi criminali.
E’ un concerto di impegno civile, conforme al dettato spirituale che ha sempre guidato l’opera della Smith e perfettamente in linea con la rabbia che tuttora anima brani come Dancing Barefoot, Gloria, Rock’n’Roll Nigger.
E la cornice è la più adatta che potresti immaginare, il parco del museo della memoria di Ustica, che lei ha visitato e che invita tutti i presenti a visitare.
“Ricordate che su quell’aereo ci poteva essere chiunque fra voi. Ricordate e non fate mai silenzio. I nostri governi ci devono delle risposte e se rimangono zitti è nostro dovere domandare, domandare e ancora domandare la verità.”
Keep asking.
Use your voice.
Usate la vostra voce.
In un’attualità in cui troppe prediche a vuoto vengono da troppi e palesemente indegni pulpiti, fa effetto un suggerimento dato da chi sull’uso della voce e della parola non ha mai lesinato.
È un concerto di rock e un concerto punk, se vogliamo. Ma il vecchio adagio it’s ONLY rock’n’Roll non sembra garbare alla Smith la quale mette in chiaro che proprio per far sentire la propria voce nulla è meglio di un contesto da musica live.
What’s better than a rock’n’roll concert?
E proprio nei binari della migliore tradizione rock, ai momenti di energia più grezza e selvaggia, intervengono a mo’ di contrappeso i minuti intimi, le canzoni a voce bassa. E in uno di questi squisiti attimi è arrivato il momento più evocativo della serata: l’omaggio a Maria Schneider, protagonista di Ultimo Tango a Parigi. Morta poco più di un anno fa e ancora viva nel brano che la sua amica le dedica. Maria è un capolavoro di equilibrio, potenza e semplicità.
***
Il live dura due ore, e Patti Smith prende energia e diventa sempre più adorabilmente aggressiva. Magistrale esempio di come un’artista debba stare su un palco, arriva al bis più carica di quando il concerto è iniziato.
È un bis perfetto per ribadire quanto già detto e affermato con forza: si inizia con People have the power e si finisce con Patti che ricordando a tutti la sua natura incorreggibilmente maudit strappa via le corde dalla sua chitarra. Una per una. Sugli affondi finali di Rock’n’Roll Nigger.
La chitarra perde il suo potere e, come alla fine accade sempre, la musica finisce.
E allora? Cosa si fa, quando non c’è più musica?
E allora…
Use your voice.
Semplice.
P.S. Senza voler prescindere dall’ascolto dei suoi album, chi volesse curiosare nelle note biografiche e artistiche di Patti Smith potrebbe leggere il suo libro Just Kids, pubblicato in Italia nel 2010. Dedicato in particolar modo al suo adorato Robert Mapplethorpe, è un memoir che si legge come un romanzo. Romantico, efficace, sentito e privo di quelle fastidiose patine nostalgiche che talvolta caratterizzano gli scrittori statunitensi quando si parla della New York degli anni ‘70.