IN BREVE Chi: Ermanno Rea raccontato da Antonio Tirelli, libreria Ulisse Cosa: “La comunista” (Giunti editore) Quando: in libreria dal 10 maggio – Sala del Baraccano giovedì 15 maggio, ore 18:30 Dove: via Santo Stefano, 119 Costo: ingresso gratuito Info: 051 6235042
di Antonio Tirelli
(Ermanno Rea presenterà oggi “La Comunista” alle 18:30 nella Sala del Baraccano, leggi qui)
Particolarmente si addice al lavoro di Ermanno Rea il concetto di scavare. Vuoi perché l’esperienza giornalistica lascia il segno e abitua l’uomo a farsi segugio, a cercare il particolare sepolto che sfugge alla vista, la parola chiave che lega tra loro eventi distanti e in apparenza estranei gli uni agli altri.
Vuoi perché Rea è soprattutto scrittore la cui paziente opera letteraria si è sempre soffermata sull’impellente esigenza di rinvenire frammenti, scovare indizi tali da ricostruire e attualizzare fatti che la Storia tende ad accantonare. Proporre riflessioni laddove scelte umane o umani istinti tendono a facili scrollate di spalla e quasi affermano: “In fondo cosa importa? Lasciamo in pace i morti e tiriamo avanti.”
Deriva forse, questa esigenza, da uno stato d’animo – accennato in Mistero napoletano (Einaudi, 1995) – che costringe Rea a rivivere il passato come un buio ergastolo i cui meccanismi sono tutti previsti.
E magari, anche per questo nella sua ultima opera – costituita dai due racconti lunghi La comunista e L’occhio del Vesuvio – abbiamo nuovamente davanti agli occhi la figura di Francesca Spada, giornalista de L’Unità nella Napoli del secondo dopoguerra, la cui vita e la cui scomparsa stanno al centro proprio di Mistero napoletano, spietata eppur commossa indagine sul progresso civile che si ferma, su lancette l’orologio che si fossilizzano precipitando luoghi e persone nell’abisso, su Napoli sottratta al fluire del tempo.
È possibile che La comunista sia un racconto attraverso il quale l’autore sia andato a cercare una sorta di “grazia” capace di liberarlo dal buio ergastolo di cui sopra. Ma è questa un’opinione che troppo lascia all’arbitrio di deviazioni interpretative da psicanalisi spicciola. Più ragionevole è pensare che quest’ultima prova di Rea sia un tentativo ulteriore di “far ripartire la Storia”, dare un’ulteriore chance ad una Napoli manomessa e mai come in questo caso metafora calzante della disperazione e talvolta della rassegnazione dell’intero popolo italiano, costretto ancora una volta a domandarsi: “Ma come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto?”
Francesca Spada, morta suicida nel 1961, ritorna a far visita allo scrittore: uno spettro, un fantasma che ben si attaglia ad una città che tutti vogliono solare ad ogni costo ma che, nella realtà, assume spesso tinte cupe, ambigue e decisamente più adatte alla ghost story che alla sceneggiata. D’altra parte, Napoli è sempre vicina al Lago d’Averno, dagli antichi ritenuto porta degli Inferi.
Francesca è un fantasma. Che tuttavia proferisce parole di carne e sangue, di un entusiasmo da far invidia a qualsiasi vivo. Parole che invitano non ad una pura presa di coscienza, che forse almeno da parte di alcuni c’è stata ma non ha prodotto i risultati attesi. Di entusiasmo dell’impossibile; ecco di cosa parla il fantasma Francesca all’uomo Ermanno Rea. La possibilità di pensare ancora che l’utopia sia leva di progresso e civiltà. Nonostante la Storia che, laddove non si sia fermata, è andata avanti sempre mostrando le devastanti discrasie fra nobili ideali e l’uso che di essi è stato sistematicamente fatto. E va detto che lo stesso Rea non si sottrae alla riflessione su tale contraddizione.
Il dubbio è affidato a L’occhio del Vesuvio, racconto della strana amicizia tra il professor Ammenda e l’operaio Tadeuzs, talentuoso polacco tuttofare al quale l’anziano grecista affida la realizzazione della grandiosa libreria destinata a raccogliere il suo enorme tesoro fatto di centinaia di volumi antichi e rari. Il racconto è intimo, è una delicata descrizione di sentimenti e di propositi umani. Ma parla apertamente di un fatalismo e un’indolenza che lo scrittore non si fa scrupoli a cucire addosso ai suoi personaggi, pur senza giudicarli o condannarli. Esattamente come lo “sterminator Vesevo” che sta a guardare casa Ammenda mentre gli abitanti della casa guardano lui. Non giudica, il Vesuvio. O almeno, non per ora. Forse dorme. Ma rimane – di questo sono tutti sicuri – pronto a svegliarsi e a prendere, presto o tardi non si sa, la sua drastica decisione.
Se La comunista è un augurio di riscatto, L’occhio del Vesuvio sembra voler mettere in guardia il lettore: attento, ché basta poco a desistere dalle buone intenzioni.
Se il primo racconto allude alla possibilità che i giochi non siano tutti fatti e la redenzione sia ancora possibile, il secondo racconto sembra avvertire che è labile e per nulla chiaro il confine che separa ciò che è realizzabile da quel che è soltanto pensabile come ideale. Alla fine, i due racconti che Rea offre al suo lettore risultano complementari e, vivendo di questa tensione tra possibile e impossibile, auspicabile e impensabile, rivelano la propria forza.
Ermanno Rea, La comunista, 2012, Editore Giunti
(Antonio Tirelli coordinerà oggi l’incontro con Ermanno Rea nella Sala del Baraccano, leggi qui)