A Bologna spesso l’arte nasce in bagno

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Un libro riscopre le avanguardie musicali bolognesi, mentre il MEI riscopre Lolli

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Chi: l’avanguardia culturale
Cosa: risiede in città
Quando: da sempre
Dove: nelle case, nelle stanze, nei bagni, nelle cantine

Bologna, città strana: ogni casa, ogni garage ogni cantina è una fucina di idee nuove. Molte trasgressive, alcune oziose, altre pericolose o provocatorie. Le più sono semplicemente geniali. Poi, però, per una legge non scritta del low-profile, questa città così procace e invasiva negli aspetti economici, culturalmente parlando è abituata a non prendersi sul serio … 

Un libro riscopre le avanguardie musicali bolognesi, mentre il MEI riscopre Lolli

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IN BREVE Chi: l’avanguardia culturale Cosa: risiede in città Quando: da sempre Dove: nelle case, nelle stanze, nei bagni, nelle cantine


di Simone Arminio

Bologna, città strana: ogni casa, ogni garage, ogni cantina è una fucina di idee nuove. Molte trasgressive, alcune oziose, altre pericolose o provocatorie. Le più sono semplicemente geniali. Poi, però, per una legge non scritta del low-profile, questa città così procace e invasiva in ambito economico, culturalmente parlando è abituata a non prendersi sul serio. Eppure quanta creatività ci ha sempre serbato? E chi di voi, nei periodi degli studi e ancora oggi, non ha mai incontrato nel bagno o nella cucina di un appartamento in condivisione, un disegno, una scritta, un oggetto autoprodotto o qualcosa che non abbia fatto esclamare: “cazzo, ma è geniale”.

Strano il destino di questi luoghi: le perle più brillanti, Bologna le nasconde nei tuguri, rendendole un lusso per pochi eletti, per gli amici più intimi. Poi, però, e per fortuna, non va sempre così. Prendete quei due fancazzisti di Francesco Guccini e Lucio Dalla. Paghi del solo esibirsi con gli amici dietro alle serrande abbassate dell’Osteria di Vito, a un certo punto, per inerzia o meritocrazia, sono diventati i poeti immensi che conosciamo oggi. 

Eppure il successo dei bolognesi, apparentemente sembrerebbe transitorio. Le canzoni, ad esempio, lo dice anche Vasco (un altro che è partito da qui), “sono come i fiori, nascon da sole sono come i sogni. A noi non resta che scriverle in fretta, perché poi svaniscono”. Beh, per fortuna così non è, perché in realtà niente va mai perso. La nostra arte grezza e spontanea, dalle camerette, dalle cucine e dalle cantine, risale i portici e prima o poi viaggia nel mondo.

E se sono fiori, statene certi, fioriranno. La terra qui è buona, gli stimoli son tanti, l’aria è pregna di spire gravide (no, non è polline) e il vento le porta altrove. Altrimenti non si spiega come, da tutto il mondo, oltre che dalla stessa Bologna, gli artisti vengano sotto alle Due Torri per partorire i loro figli migliori.

Poi le mode passano, i figli invecchiano, ma per fortuna chi deve rimane. E siccome l’oblio è sempre in agguato e la modestia non fa il gioco della Storia, in questi giorni un pool di ottimi giornalisti bolognesi (Gianni Gherardi, Lucio Mazzi, Pierfrancesco Pacoda, Andrea Tinti e Angela Zocco), orientati da Oderso Rubini (produttore-istituzione del rock cittadino) ha ben pensato di raccogliere le avanguardie rock della città in un bellissimo libro illustrato (“Largo all’avanguardia“, Sonic Press editore).

Il richiamo è a nomi come gli Skiantos, precursori del rock demenziale, i Gaznevada, poi più di recente i Massimo Volume. E, se guardiamo all’attuale, nella fotografia entrano di diritto anche Marta sui Tubi, Mariposa, Lo Stato Sociale, per citare solo i primi che tornano in mente. Bologna, che fucina! L’ultima soddisfazione arriva dal passato. Un accurato referendum del MEI ha stilato (e presenterà tra qualche giorno al Salone del Libro di Torino) una lista dei 50 artisti simbolo della musica indipendente italiana.

Qui, con immenso piacere, oltre ai già citati troviamo un grande Claudio Lolli. Cantautore bolognese, poeta di amore e di rivolta che i più (comprese le major e l’altisonante Club Tenco) hanno tentato di cancellare e che invece a quarant’anni dal suo esordio torna oggi più attuale di prima. Basti ascoltare “Ho visto anche degli zingari felici” (Emi, 1976): un disco così duro, divertente ed emozionante che sembra scritto ieri. Fa pensare che certi fiori sono di fibra dura: se li calpesti si piegano, perdono petali, ma presto o tardi tornano dritti. Più belli e forti di prima: sarà la bolognesità.

Claudio Lolli “Anna di Francia
(da Ho visto anche degli zingari felici, 1976)

10 maggio 2012

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